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 Tribunale Amministrativo Regionale  per la Puglia - Lecce - Sezione Prima, 20 novembre 2007, n. 3918

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo italiano

nelle persone dei Signori:
ALDO RAVALLI Presidente
ENRICO d’ARPE Componente
CLAUDIO CONTESSA Componente, relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Visto il ricorso num. 528/2007 proposto da: COMUNE DI CORIGLIANO D’OTRANTO (in persona del Sindaco, legale rapp.te, p.t.) rappresentato e difeso da: AVV. ANGELO VANTAGGIATO, AVV. ARISTIDE POLICE, con domicilio eletto in LECCE VIA ZANARDELLI, N. 7 presso AVV. ANGELO VANTAGGIATO
contro
COMMISSARIO DELEGATO PER L’EMERGENZA AMBIENTALE (in persona del Presidente della Regione Puglia) rappresentato e difeso da:
AVVOCATURA DISTRETTUALE DELLO STATO con domicilio eletto in LECCE VIA F. RUBICHI, 23 presso SUA SEDE
e contro
REGIONE PUGLIA (in persona del Presidente, p.t.) rappresentata e difesa da: AVV. IDA MARIA DENTAMARO con domicilio eletto in BARI
PIAZZA GARIBALDI, 23 presso SUA SEDE
nonché nei confronti di
CO.GE.AM. (Consorzio stabile gestioni ambientali) (in persona del legale rapp.te p.t) rappresentato e difeso da: AVV. PIETRO QUINTO AVV. LUIGI QUINTO con domicilio eletto in LECCE VIA GARIBALDI, 43 presso AVV. PIETRO QUINTO AVV. LUIGI QUINTO
e con l’intervento ad adiuvandum di
PROVINCIA DI LECCE rappresentata e difesa da: AVV. GIUDITTA ANGELASTRI AVV. MARIA GIOVANNA CAPOCCIA con domicilio eletto in LECCE VIA UMBERTO I presso AVVOCATURA PROVINCIALE

per l’annullamento:
- del decreto n. 36/CD del 31 gennaio 2007 del Commissario delegato per l’emergenza dei rifiuti in Puglia, con cui è stato “approvato il progetto, autorizzata la realizzazione e la gestione, del sistema impiantistico complesso per i rifiuti urbani, a servizio del bacino LE/2”, con particolare riferimento alla “discarica di servizio/soccorso” del Comune di Corigliano d’Otranto, località ‘Masseria Scomunca’, in favore del CO.GE.AM. di Massafra, nonché
- di ogni altro atto connesso, conseguenziale e presupposto, ivi compreso, ove occorra, il parere V.I.A., reso dal Dirigente del Settore Ecologia della Regione Puglia.
Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di:

AVVOCATURA DISTRETTUALE DELLO STATO
REGIONE PUGLIA
PROVINCIA DI BRINDISI
CO.GE.AM. (Consorzio stabile gestioni ambientali)

Vista l’istanza in data 16 aprile 2007, con cui il Comune ricorrente ha chiesto la sospensione in via cautelare del provvedimento impugnato;
Considerando che nel ricorso introduttivo sono dedotti i seguenti motivi:
1) Perplessità dell’azione amministrativa – Violazione delle disposizioni in tema di livelli di progettazione;
2) Erroneità dei presupposti – Errata applicazione dei contenuti dispositivi del parere V.I.A. – Violazione delle disposizioni in materia di prevenzione e tutela dell’ambiente dall’inquinamento

Data per letta all’udienza pubblica del giorno 10 ottobre 2007 la relazione del Referendario Claudio Contessa e uditi, altresì, gli avvocati Vantaggiato (per il Comune ricorrente), Roberti (per l’Avvocatura Distrettuale dello Stato), Testi (in sostituzione degli avvocati Angelastri e Capoccia, per la provincia di Brindisi) e Pietro Quinto (per la CO.GE.AM.);

Considerando in fatto ed in diritto quanto segue:

FATTO
Il Comune ricorrente riferisce che la vicenda all’origine del presente ricorso attiene al provvedimento finale autorizzativo per la realizzazione della discarica di servizio/soccorso , sita nel Comune di Corigliano d’Otranto, quale componente del sistema impiantistico integrato di previsione.
Riferisce, altresì, che la localizzazione nel sito di Corigliano della discarica in questione, quale elemento di chiusura del sistema, rappresenta ormai un dato acquisito sulla base di atti non più impugnabili.
Risulta agli atti che, per l’impianto all’origine dei fatti di causa, il Commissario delegato per l’emergenza in materia di rifiuti in Puglia (d’ora in poi: ‘il Commissario delegato’) abbia bandito ed aggiudicato la relativa gara, stipulando il conseguente contratto con il controinteressato CO.GE.AM. (‘Consorzio Stabile Gestioni Ambientali’).
Veniva, quindi, avviato l’iter relativo alla verifica della compatibilità ambientale dell’intervento (L.R. 12 aprile 2001, n. 11), ai fini del rilascio dell’autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti (ora: art. 208 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 – ‘Norme in materia ambientale’ -).
Nel corso di tale iter, l’Acquedotto Pugliese (d’ora in poi: ‘l’AQP’) manifestava le proprie perplessità in ordine alla distanza geografica fra il realizzando impianto ed un importante campo pozzi utilizzato per l’emungimento di acqua potabile destinata al consumo umano ed alla distribuzione nell’ambito dell’intero Salento.
In tale occasione, l’AQP osservava che “il pericolo di inquinamento della falda sotterranea (che si presume localizzata alla profondità di 70 m. dal piano di campagna), l’ubicazione del sito (che ricadrebbe nell’area di ricarica della falda idrica sotterranea), le locali condizioni di vulnerabilità dell’acquifero carsico, richiedono che specifiche condizioni e precauzioni siano prese in sede di progettazione e realizzazione dell’impianto a tutela dei corpi idrici sotterranei. In particolare, andranno svolte accurate indagini preliminari circa la interconnessione dei corpi idrici interessati”.
Nel corso di una riunione di coordinamento tenutasi in data 31 ottobre 2006, poi, l’AQP proponeva di “integrare la documentazione relativa agli studi idrogeologici già effettuati nella zona di specifico interesse dalla discarica con apposita carta delle isografiche della zona interessata, per verificare l’assenza di falde superficiali eventualmente interferenti con la falda freatica e/o artesiana”.
Ancora, con nota in data 13 novembre 2006, l’AQP ribadiva il proprio avviso circa la necessità di svolgere ogni approfondimento tecnico volto ad escludere possibili interferenze fra il realizzando impianto e le falde acquifere esistenti nel territorio comunale di Corigliano d’Otranto.
In tale occasione, l’AQP riteneva “necessario, considerata l’area di spartiacque idrogeologico per il tratto acquifero in questione e anche ai fini della corretta definizione dei pozzi di monitoraggio, che il progetto venga integrato con uno studio idrogeologico aggiornato prevedendo, eventualmente, l’utilizzo di ulteriori pozzi di monitoraggio (…)”.
La necessità di acquisire il richiamato studio idrogeologico veniva ribadita dall’AQP anche nel prosieguo dell’iter di cui alla L.R. 11 del 2001, cit.
In particolare, con nota in data 10 novembre 2006, l’AQP rilevava che in sede di predisposizione del progetto relativo all’impianto di cui è causa non fosse stata definita con precisione la zona di deflusso delle acque: dato – quest’ultimo – indispensabile ai fini della corretta comprensione delle caratteristiche idrogeologiche del sito.
Conseguentemente, l’AQP ribadiva la propria richiesta per cui il progetto venisse integrato con uno studio idrogeologico aggiornato per il tratto di acquifero in questione.
Questo essendo lo stato dell’arte dell’istruttoria procedimentale, in data 14 dicembre del 2006 il Comitato Regionale per la V.I.A. riteneva “di poter fornire parere favorevole allo studio in questione prescrivendo che in sede di presentazione del progetto definitivo per l’approvazione di legge, la CO.GE.AM. presenti uno specifico studio idrogeologico aggiornato, così come rappresentato dall’AQP”.
Con l’impugnata determinazione n. 607 del 21 dicembre 2006, il Dirigente del Settore Ecologia della Regione Puglia, dopo aver richiamato gli esiti dell’istruttoria (e, in particolare, il pronunciamento del Comitato Regionale per la V.I.A.) esprimeva parere favorevole ai sensi della L.R. 11 del 2001 in ordine alla compatibilità ambientale dell’impianto di cui è causa “per tutte le motivazioni e con tutte le prescrizioni espresse in narrativa e che qui si intendono integralmente riportate” (ivi compresa, quindi, la prescrizione relativa alla presentazione di un apposito studio idrogeologico).
A questo punto, la documentazione dinanzi richiamata veniva vagliata dall’Organismo tecnico a supporto dell’attività commissariale di cui ai decreti n. 118/CD/2005 e n. 160/CD/2006.
All’esito del proprio esame tecnico, l’Organismo in questione esprimeva parere favorevole (con prescrizioni) all’approvazione del progetto, nonché all’autorizzazione alla realizzazione e gestione del sistema impiantistico.
Fra le (diciotto) prescrizioni in questione, vi era la seguente: “(…) d) oltre ai n. 4 pozzi di monitoraggio previsti, sulla base dell’esito dello studio idrogeologico da eseguirsi in fase di progettazione esecutiva e dei risultati delle perforazioni e degli accertamenti eseguiti su detti pozzi, si individuino ulteriori pozzi di monitoraggio, fra quelli già esistenti in un raggio di 1 km., in modo da assicurare il controllo qualitativo della falda a monte e a valle idrogeologico. La scelta di tali ulteriori pozzi, come numero e ubicazione, dovrà effettuarsi in accordo con l’AQP e con l’ARPA (Corigliano d’Otranto)”.
Da ultimo, con l’impugnato decreto in data 31 gennaio 2007 il Commissario delegato approvava, ai sensi dell’art. 208 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (‘Norme in materia ambientale’), il progetto definitivo del ‘sistema impiantistico complesso per i RSU’ e ne autorizzava la realizzazione e la gestione, previo esito positivo del collaudo.
Il decreto in questione (al punto 2 della parte dispositiva) stabiliva che l’autorizzazione fosse effettuata “con le prescrizioni trascritte in narrativa contraddistinte dalla lettera a) alla lettera t)”.
Il decreto e gli atti ad esso prodromici, con particolare riferimento al parere regionale favorevole reso in sede di V.I.A. in data 21 dicembre 2006 venivano impugnati dal Comune di Corigliano d’Otranto, che ne contestava la legittimità sotto due articolati profili.
Con atto in data 7 maggio 2007, si costituiva ad adiuvandum nel giudizio la Provincia di Lecce, la quale chiedeva l’accoglimento del ricorso.
Si costituivano, inoltre, l’Avvocatura distrettuale dello Stato, la Regione Puglia e la controinteressata CO.GE.AM., le quali chiedevano in via preliminare dichiararsi l’incompetenza del Tribunale adìto ai sensi del comma 2-bis dell’art. 3 del d.l. 30 novembre 2005, n. 245 (conv. in l. 27 gennaio 2006, n. 21) e, nel merito, chiedevano la reiezione del ricorso.
All’udienza pubblica del giorno 10 ottobre 2007 le parti costituite rassegnavano le proprie conclusioni ed il ricorso veniva trattenuto in decisione.

DIRITTO
1. In via preliminare va esaminata l’eccezione di inammissibilità (sollevata, con argomentazioni in larga parte coincidenti, dall’Avvocatura dello Stato, dalla Regione Puglia e dalla controinteressata CO.GE.AM.) fondata sull’asserita incompetenza territoriale dell’adito Tribunale, in favore del T.A.R. Lazio – Roma, ai sensi del comma 2-bis dell’art. 3 del d.l. 30 novembre 2005, n. 245 (conv. in l. 27 gennaio 2006, n. 21).
Secondo i deducenti, infatti, la disposizione in parola determinerebbe l’incompetenza territoriale di questo Tribunale, con contestuale obbligo di sollevare anche ex officio la questione (i.e.: anche in assenza di un’istanza per regolamento di competenza ex art. 31, l. T.A.R., giusta il disposto del comma 2-ter dell’art. 3, cit.), trattandosi nella specie di ipotesi di competenza di carattere funzionale.
L’argomento non può essere condiviso, dovendosi piuttosto nella specie confermare la sussistenza della competenza territoriale del Tribunale adito.
Come è noto, il comma 2-bis dell’art. 3 del d.l. 245 del 2005 stabilisce che “in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, la competenza di primo grado a conoscere della legittimità delle ordinanze adottate e dei consequenziali provvedimenti commissariali spetta in via esclusiva, anche per l'emanazione di misure cautelari, al tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma”.
Il Collegio osserva che, nella specie, la fissazione della competenza territoriale del T.A.R. del Lazio non risulti riferita in modo indifferenziato ad ogni tipologia di atto posto in essere, al verificarsi degli eventi di cui all’art. 2, comma 1, lettera c) della l. 225 del 1992, dal Presidente del Consiglio (ovvero, dai Commissari delegati, nelle ipotesi di cui al comma 4 dell’art. 5, l. 225 del 1992).
Al contrario, dall’inequivoco disposto normativo di cui all’art. 3 del d.l. 245, cit., emerge che la devoluzione in questione resti limitata alle sole ipotesi di impugnativa “delle ordinanze adottate e dei consequenziali provvedimenti commissariali”, poste in essere a seguito della dichiarazione di cui al comma 1 dell’art. 5, cit. (ci si riferisce, come è evidente, da un lato all’istituto delle c.d. ‘ordinanze in deroga’, di cui al comma 2 dell’art. 5 e dall’altro alla diversa figura delle ordinanze finalizzate ad evitare situazioni di pericolo o maggiori danni a persone o cose, di cui è menzione al comma 3 del medesimo articolo).
Al contrario, dall’esame testuale della norma di cui i deducenti invocano l’applicazione nel caso di specie, emerge che la deroga alla competenza territoriale ivi prevista non trovi applicazione nelle ipotesi in cui (come nel caso di specie) l’impugnativa giurisdizionale concerna (non già le ordinanze di cui all’art. 5, cit., ovvero i provvedimenti ad esse conseguenti, bensì) atti e provvedimenti amministrativi di diversa natura costituenti esercizio di un’ordinaria attività gestionale, sia pure esplicantesi nell’ambito delle particolari situazioni di cui all’art. 2, comma 1,lettera c) della l. 225.
Ed infatti, appare pacifico che altro è il presupposto rappresentato dallo stato di emergenza (dichiarato ai sensi dell’art. 5 della l. 225), il quale impone l’adozione del complesso di attività di cui agli articoli 12 e segg., l. cit.; mentre altra cosa è l’adozione delle c.d. ‘ordinanze in deroga’, per le quali l’esistenza di uno stato di emergenza rappresenta condizione necessaria, ma certo non sufficiente (tanto è desumibile in modo evidente dal disposto di cui all’art. 5, comma 2, cit., secondo cui “per l’attuazione degli interventi di emergenza conseguenti alla dichiarazione di cui al comma 1, si provvede (…) anche a mezzo di ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico”).
Ne consegue che il Legislatore ha certamente tenuto distinti i due profili in questione, contemplando la possibilità per cui, pur a fronte di un dichiarato stato di emergenza, la conseguente attività (in primis: dei Commissari delegati) non fosse demandata in via esclusiva allo strumento delle ordinanze in deroga, ben essendo possibile fronteggiare con strumenti non derogatori, se pure calati in un quadro emergenziale, le medesime situazioni (il che, a ben vedere, rappresenta un corollario del carattere extra ordinem e di extrema ratio configurabile in ordine alle ordinanze di cui sopra).
Riconducendo i principi in questione alle peculiarità del caso di specie, il Collegio si limita ad osservare che i provvedimenti impugnati (i.e.: l’approvazione del progetto definitivo di un sistema impiantistico complessivo e l’autorizzazione alla realizzazione e gestione dello stesso) non sono annoverabili in alcun modo fra “le ordinanze adottate [ed] i consequenziali provvedimenti commissariali”, posti in essere a seguito della dichiarazione di cui al comma 1 dell’art. 5, cit., atteso che essi costituiscono, al contrario, esercizio di attività amministrative gestionali poste in essere (pur se nell’ambito di un quadro emergenziale) in attuazione di impegni assunti a seguito dell’espletamento di un pubblico incanto e della conseguente aggiudicazione in favore dell’odierna controinteressata.
Ne consegue che la disposizione invocata dall’Avvocatura non possa trovare applicazione per la soluzione del caso all’esame del Collegio.
Ai limitati fini che qui rilevano, si osserva che le considerazioni sin qui svolte non vengono in alcun modo revocate in dubbio all’indomani della sentenza della Corte costituzionale 26 giugno 2007, n. 237 (con la quale, come è noto, è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale – inter alia – dell’art. 3, comma 2-bis, d.l. 245, cit. sollevata, sotto diversi profili, dai TT.AA.RR. della Calabria, della Campania, della Sicilia e del Veneto).
Al riguardo, si osserva in primo luogo che, stante l’inequivoco disposto dell’art. 3, comma 2-bis, cit. e la portata materiale della norma che esso delinea, ne consegue che il recente dictum della Consulta semplicemente non sortisca effetto alcuno ai fini della vicenda di causa. Ciò in quanto è la stessa norma di cui la Corte ha recentemente confermato la legittimità costituzionale a limitare il proprio ambito di applicazione al campo “delle ordinanze adottate e dei consequenziali provvedimenti commissariali” (ossia, ad un ambito materiale diverso da quello degli atti odiernamente impugnati).
In secondo luogo, si osserva che è la stessa pronuncia della Consulta da ultimo richiamata a confermare (sia pure fra le situazioni lato sensu conseguenti alla dichiarazione dello stato di emergenza) l’esistenza di un discrimen fra le situazioni suscettibili di “essere fronteggiat[e] mediante interventi attuabili dai singoli enti ed amministrazioni competenti in via ordinaria” (o attraverso un coordinamento degli stessi) e le diverse ipotesi in cui gli eventi di cui all’art. 2, comma 1, lettera c) della l. 225 del 1991 “debbono essere fronteggiati con mezzi straordinari” (si veda, al riguardo, il punto 5.1 della sentenza 237 del 2007, cit.).

2. Con il primo motivo di ricorso, il Comune ricorrente lamenta che gli atti impugnati siano stati posti in essere all’esito di un iter indubbiamente perplesso e, comunque, in violazione delle disposizioni in tema di livelli di progettazione.
In particolare, il ricorrente afferma che, essendo indubitabile che l’atto in questione concluda la complessa fattispecie procedimentale di autorizzazione alla realizzazione dell’opera ed alla sua realizzazione, la conseguenza è che risulti nella specie realizzato un palese error in procedendo.
Ciò in quanto l’emanazione dell’atto conclusivo non avrebbe rispettato l’ordinaria sequenza ‘progetto preliminare / progetto definitivo / progetto esecutivo’ ed anzi, l’emanazione dell’atto conclusivo avrebbe seguito l’adozione del parere V.I.A., senza la previa (quanto necessaria) approvazione del progetto definitivo.
Con il secondo motivo di ricorso, il Comune ricorrente lamenta sotto altro profilo gli errores in procedendo che avrebbero nella specie caratterizzato l’iter conclusosi con l’adozione dell’impugnata delibera commissariale.
La premessa logico-fattuale su cui si fonda il motivo di ricorso in questione prende le mosse dal contenuto delle prescrizioni dettate in sede di procedimento di V.I.A. (meglio descritto in narrativa), con particolare riguardo alla necessità dell’acquisizione di uno studio idrogeologico volto a dimostrare la non interferenza fra il realizzando impianto e le falde acquifere esistenti nel territorio comunale di Corigliano d’Otranto.
Il motivo in questione muove, inoltre, dalla circostanza per cui il parere V.I.A. favorevole fosse subordinato alla previa acquisizione di tale studio (sulla base delle richieste dell’AQP, sostanzialmente confermate dapprima dal Comitato regionale per la V.I.A. e successivamente dal competente Dirigente regionale, dall’Organismo tecnico di supporto dell’attività commissariale e, infine, dallo stesso Commissario delegato con la delibera oggi impugnata).
Secondo il ricorrente, quindi, “prescindendo da ogni questione sulla legittimità di un parere V.I.A. condizionato, resta il fatto che il provvedimento di cui oggi si discute, non può annoverare fra i suoi presupposti giuridici una valida V.I.A., non essendosi , (…) in mancanza dell’approvazione del progetto definitivo, verificata la prescrizione contenuta in quel parere.
In altri termini (…), quand’anche si potesse ritenere, in astratto, che l’autorizzazione come quella di che trattasi, possa precedere e non seguire l’approvazione del progetto esecutivo, rimane la circostanza obiettiva che, nell’ambito dello specifico procedimento, per potersi considerare validamente ed efficacemente resa, la V.I.A. andava integrata con l’approvazione del definitivo, che doveva intervenire sulla scorta della nuova ed approfondita relazione idrogeologica, prevista nella determina. (…)
In realtà, quindi, l’autorizzazione alla modificazione del territorio in cui si sostanzia l’autorizzazione oggi impugnata, è impossibile senza il perfezionamento della V.I.A.” (ricorso, cit., pag. 6, s.).
In definitiva, “l’assenza dello studio idrogeologico, cui subordinare l’approvazione del progetto, determina che il ‘perplesso’ parere dell’acquedotto debba considerarsi, allo stato, negativo, e, conseguentemente, inefficace la V.I.A. rilasciata” (ivi, pag. 8).
I due motivi in questione, che possono essere esaminati congiuntamente, non possono trovare accoglimento.
Al riguardo il Collegio rileva che la scansione dell’iter procedimentale (e la sequenza degli atti impugnati) non palesi gli errores in procedendo lamentati dalla Difesa di Parte attrice, ma palesi – al contrario – la sostanziale conformità con le previsioni recate in materia dall’art. 208 del d.lgs. 152 del 2006, cit. (articolo rubricato ‘Autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e si recupero dei rifiuti’).
Ai fini che qui rilevano, si osserva che la norma in questione trova applicazione “anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto [cioè, alla data del 29 aprile 2006, n.d.E.], eccetto quelli per i quali sia completata la procedura di valutazione di impatto ambientale”. Ebbene, poiché alla ripetuta data del 29 aprile 2006 la procedura di V.I.A. relativa al progetto di cui è causa non era stata ancora completata (essa, come si esposto in narrativa, si è conclusa solo con il parere V.I.A. in data 12 dicembre 2006), ne consegue che la disciplina di cui al richiamato art. 208 risulti certamente applicabile al caso di specie.
Ebbene, l’articolo in questione prevede, appunto, che “i soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, devono presentare apposita domanda alla regione competente per territorio, allegando il progetto definitivo dell'impianto e la documentazione tecnica prevista per la realizzazione del progetto stesso dalle disposizioni vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di salute di sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica. Ove l'impianto debba essere sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale ai sensi della normativa vigente, alla domanda è altresì allegata la comunicazione del progetto all'autorità competente ai predetti fini (…)”.
I successivi commi del medesimo articolo disciplinano l’iter autorizzativo (nel caso di specie, caratterizzato dalla peculiare competenza del Commissario delegato).
Viene, in particolare, in rilievo il comma 6, in base al quale “entro trenta giorni dal ricevimento delle conclusioni della conferenza di servizi e sulla base delle risultanze della stessa, [l’Ente competente al rilascio], in caso di valutazione positiva, approva il progetto e autorizza la realizzazione e la gestione dell'impianto. L'approvazione sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali, costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori”.
Il successivo comma 11, inoltre, stabilisce che “l'autorizzazione individua le condizioni e le prescrizioni necessarie per garantire l'attuazione dei principi di cui all'articolo 178 e contiene almeno i seguenti elementi: (…) c) le precauzioni da prendere in materia di sicurezza ed igiene ambientale”.
Dal quadro normativo qui dinanzi sinteticamente richiamato emerge che il Legislatore delegato abbia inteso delineare un modello in cui, effettivamente, l’autorizzazione unica da parte dell’Ente competente viene rilasciata a fronte della presentazione di un progetto definitivo e della documentazione tecnica di supporto ad essa allegata e non – come ritenuto dal Comune ricorrente – di un progetto esecutivo di cui, per altro, non è menzione nella norma in questione.
Vero è che il rilascio dell’autorizzazione è subordinato alla pronuncia circa la compatibilità ambientale del progetto (art. 208, cit., comma 1, ultimo periodo), ma è ben possibile che, a fronte di una pronuncia in sede V.I.A. favorevole con prescrizioni, l’autorizzazione possa comunque essere rilasciata, sia pure con la puntuale imposizione delle “precauzioni da prendere in materia di sicurezza ed igiene ambientale” (ivi, comma 11, lettera c)).
Pur nel silenzio sul punto della disposizione, è da ritenere che la previsione normativa secondo cui in tali ipotesi l’autorizzazione è rilasciata con prescrizioni in tema di sicurezza ambientale presenti conseguenze diverse a seconda delle differenti peculiarità del caso.
In particolare, è da ritenere che:
- laddove le prescrizioni in materia ambientale presentino carattere – per così dire – ‘a regime’, l’avvio della gestione dell’impianto sarà possibile e l’adozione di tali prescrizioni dovrà avvenire durante l’intero corso della gestione;
- laddove, invece (come nel caso in esame), l’adozione delle prescritte misure di salvaguardia ambientale risulti necessaria per lo stesso avvio dell’iniziativa, è da ritenere che tale avvio sia in concreto possibile solo laddove le prescrizioni risultino de facto realizzate.
Riconducendo il principio appena esposto alle peculiarità del caso di specie, si osserva quanto segue.
In primo luogo, appare fuori di dubbio la necessità di acquisire un approfondito studio idrogeologico in ordine alle possibili intereferenze fra il realizzando impianto e la falda acquifera. Tale necessità, come esposto in narrativa era stata inizialmente evidenziata dall’AQP e successivamente ribadita dal Comitato regionale V.I.A., dal competente Dirigente regionale, dall’Organismo tecnico a supporto dell’attività del Commissario e, da ultimo, dal Commissario stesso in sede di rilascio dell’autorizzazione.
In secondo luogo, si osserva che non appaia condivisibile l’affermazione di Parte attrice secondo cui, sino al momento della produzione e positivo esame del richiamato studio idrogeologico, la V.I.A. non si sarebbe nella specie mai perfezionata (per tale via condizionando in modo sfavorevole l’intero iter autorizzativo).
Al contrario, la pronuncia regionale in sede di V.I.A. (in data 21 dicembre 2006) risulta certamente esistente ed efficace, se pur resa nella forma (piuttosto diffusa) del parere ‘favorevole con prescrizioni’.
Ciò ha comportato (secondo la documentazione in atti) che la maggior parte delle preoccupazioni relative all’impatto ambientale dell’impianto fossero state già superate in sede di redazione della scheda di localizzazione predisposta nella fase iniziale dell’iter autorizzativo, ma che nondimeno (in base ad un condivisibile principio di precauzione) si è ritenuto di acquisire ulteriori indagini tecniche (facendole oggetto di un’espressa prescrizione), il cui positivo esito risulta prodromico al concreto avvio dell’utilizzazione dell’impianto.
In terzo luogo (ed in base a quanto sin qui chiarito), si osserva che nessun error in procedendo sembri viziare la procedura nella specie seguita, atteso che essa ha rispettato la sequenza di legge: a) presentazione del progetto definitivo con istanza di autorizzazione; b) acquisizione del parere V.I.A. (se del caso, con prescrizioni); c) rilascio dell’autorizzazione (se del caso, con prescrizioni); d) concreto avvio dell’iniziativa (previa compiuta ottemperanza e verifica di quanto prescritto in sede di V.I.A. e/o in sede di autorizzazione, anche apportando al progetto ogni modifica all’uopo necessaria) .
Si osserva al riguardo che non appare condivisibile la tesi di Parte attrice secondo cui la mancata ottemperanza a quanto prescritto in sede di V.I.A. renderebbe la valutazione medesima inefficace e, comunque, precluderebbe l’autorizzazione del progetto che ne costituisce oggetto.
Al contrario, è da ritenere che in caso di V.I.A. favorevole con prescrizioni, l’autorizzazione del progetto sia comunque possibile fermo restando (scil.) l’obbligo di realizzare quanto ivi prescritto, se del caso apportando al progetto ogni modifica a tal fine necessaria.
Si ritiene, al riguardo, che un rilevante argomento normativo in tal senso sia rappresentato proprio dall’art. 15 della L.R. 12 aprile 2001, n. 11 (‘Norme sulla valutazione dell’impatto ambientale’, pure richiamato dal Comune ricorrente a supporto della propria tesi), secondo cui “la V.I.A. positiva obbliga il proponente a conformare il progetto alle eventuali prescrizioni in essa contenute per la realizzazione e a monitorare nel tempo l’intervento o l’opera”.
Si tratta, come è evidente, di una disposizione che osta ad un’interpretazione secondo cui la fissazione di prescrizioni in sede di V.I.A. equivarrebbe ad una valutazione in toto negativa ed impedirebbe l’autorizzazione stessa dell’intervento che ne forma oggetto.
Al contrario, è da ritenere che (come si è detto in precedenza) l’acquisizione dello studio idrogeologico e l’esame circa il suo contenuto (rectius: circa la non collidenza fra l’impianto e la salvaguardia dell’acquifero) non ostino all’autorizzabilità dell’impianto, ma condizionino in modo sospensivo la sua attivazione.
Per i motivi esposti, il ricorso di cui in oggetto deve essere respinto.
Il Collegio ritiene che nella specie sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti, anche in considerazione della parziale novità delle questione trattate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, I Sezione di Lecce, definitivamente pronunciando sul ricorso N.R.G. 528/07
LO RESPINGE.
Spese compensate.
Ordina che la presente Sentenza sia eseguita ad opera dell’Autorità amministrativa.
La presente sentenza è depositata presso la segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Lecce, nella Camera di Consiglio del giorno 10 ottobre 2007.
Aldo Ravalli – Presidente
Claudio Contessa – Estensore
Pubblicata mediante deposito
in Segreteria il 20 novembre 2007