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Sentenza n. 182 del 5 maggio 2006

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Annibale MARINI 
Franco BILE 
Giovanni Maria FLICK 
Francesco AMIRANTE 
Ugo DE SIERVO 
Romano VACCARELLA 
Paolo MADDALENA 
Alfio FINOCCHIARO 
Alfonso QUARANTA 
Franco GALLO 
Gaetano SILVESTRI 
Sabino CASSESE 
Maria Rita SAULLE 
Giuseppe TESAURO                         

 

Presidente

Giudice

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ha pronunciato la seguente sentenza

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 32, comma 3, in relazione agli articoli 33, 34, 48, 51, 53; 34, comma 3, in relazione all'articolo 87; 105, comma 3 della legge della Regione Toscana 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme per il governo del territorio), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 10 marzo 2005, depositato in cancelleria il 15 marzo 2005 ed iscritto al n. 38 del registro ricorsi 2005.
Visto l'atto di costituzione della Regione Toscana;
udito nell'udienza pubblica del 21 febbraio 2006 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;
uditi l'avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana.

Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso notificato il 10 marzo 2005, e depositato il 15 marzo 2005, il Presidente del Consiglio dei ministri, su conforme deliberazione del Consiglio dei ministri in data 4 marzo 2005, ha sollevato questione di legittimità costituzionale di alcune norme della legge della Regione Toscana 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme per il governo del territorio), e in particolare: 1) dell'art. 32, comma 3, in relazione agli artt. 33, 34, 48, 51, 53, per invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali (art. 117, secondo comma, lettera s, della Costituzione), e per contrasto con i principi fondamentali delle materie “governo del territorio” e “valorizzazione dei beni culturali” recati dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), con riguardo ai beni paesaggistici (art. 117, terzo comma, della Costituzione); 2) dell'art. 34, comma 3, in relazione all'art. 87, per contrasto con i principi fondamentali della materia “governo del territorio”; 3) dell'art. 105, comma 3, per contrasto con i principi fondamentali delle materie “governo del territorio” e “protezione civile” (in senso preventivo) al fine di una pari protezione dell'incolumità e salute personale (art. 117, secondo comma, lettere l e m, nonché art. 3 della Costituzione).
In ordine al punto 1), la norma censurata (art. 32, commi 1 e 2) richiama la disciplina del Codice riguardo all'individuazione dei beni paesaggistici, e precisa che gli immobili e le aree dichiarate di notevole interesse pubblico, sono compresi negli statuti (intesi questi, in base all'art. 5, come parte degli specifici strumenti di pianificazione territoriale, contenenti le invarianti strutturali di cui all'art. 4, in quanto elementi cardine dell'identità dei luoghi) dei piani regionali, provinciali, comunali, in relazione al rispettivo rilievo. Il comma 3 dispone che l'entrata in vigore delle disposizioni di detti strumenti urbanistici che comporti la modifica di vari atti e provvedimenti previsti dal Codice, che abbiano interessato i beni paesaggistici (notifiche eseguite, elenchi compilati, atti e provvedimenti emanati a termini della normativa previgente, di cui all'art. 157; dichiarazione regionale di notevole interesse pubblico, di cui all'art. 140; provvedimenti ministeriali sostitutivi, di cui all'art. 141), è subordinata esclusivamente alle forme di pubblicità previste dall'art. 140, commi 2, 3, 4, dello stesso Codice (notifica a proprietari, possessori, detentori; trascrizione; pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e nel Bollettino Ufficiale della Regione; affissione per novanta giorni nell'albo pretorio dei Comuni interessati), e non fa riferimento all'accordo Stato-Regione previsto dal Codice per gli adeguamenti al piano paesaggistico elaborato d'intesa, in contrasto con l'art. 143, commi 11 e 12, del Codice, in tal modo invadendo, con la violazione delle norme statali di riferimento, la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, prevista dall'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione e contrastando con i principi fondamentali delle materie “governo del territorio” e “valorizzazione dei beni culturali” fissati dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, con riguardo ai beni paesaggistici (art. 117, terzo comma, della Costituzione).
In ordine al punto 2), la norma censurata (art. 34, comma 3) stabilisce che sia lo statuto del piano strutturale comunale a indicare (in conformità con le previsioni del piano di indirizzo territoriale e del piano territoriale di coordinamento) le aree per le quali la realizzazione delle opere e degli interventi consentiti richieda il preventivo rilascio dell'autorizzazione paesaggistica di cui all'art. 87, le aree nelle quali la realizzazione non sia soggetta ad autorizzazione ma semplicemente verificata in contestualità con la procedura di rilascio del titolo edilizio, e le aree compromesse o degradate nelle quali gli interventi (di recupero e riqualificazione) non sono soggetti ad autorizzazione. Tale disciplina – ad avviso del ricorrente – contrasta con i principi in materia di “governo del territorio”, in particolare: con l'ordine gerarchico dei piani, per cui la pianificazione territoriale deve sottostare alla pianificazione paesaggistica (art. 145 del Codice); con l'attribuzione al piano paesaggistico delle aree in cui gli interventi debbano o meno essere assistiti da autorizzazione paesaggistica (art. 143, comma 5, del Codice); e con l'esclusione di applicabilità dell'art. 143, comma 5, del Codice, qualora il piano paesaggistico non sia stato elaborato congiuntamente da Stato e Regione.
In ordine al punto 3), la norma censurata (art. 105, comma 3) prevede che per gli interventi in zona sismica deve darsi preavviso scritto alla struttura regionale competente, allegando progetto dell'opera, relazione tecnica e relazione sulla fondazione (commi 1 e 2), senza che per iniziare i lavori sia necessaria l'autorizzazione della struttura regionale. La disciplina regionale appare dunque in contrasto con i principi fondamentali della legislazione statale in tema di governo del territorio e protezione civile, desumibili dalla prescrizione di preventiva autorizzazione, richiesta dall'art. 18 della legge 3 febbraio 1974, n. 64 (Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche), a tutela dell'incolumità pubblica, e ribadita dall'art. 94 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), con la potestà legislativa statale in materia di ordinamento civile (l'autorizzazione incide sui limiti della proprietà, a fini, fra l'altro, di incolumità pubblica), e di diritti civili e sociali da garantirsi uniformemente su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo comma, lettere l e m; art. 3 Cost.), ed è inoltre incoerente con la previsione della stessa legge regionale (art. 96), di rispetto della normativa tecnica statale.
2. – Si è costituita in giudizio la Regione Toscana che, con riserva di ulteriori deduzioni, chiede che le questioni di legittimità costituzionale riguardanti disposizioni della legge regionale n. 1 del 2005 siano dichiarate inammissibili e infondate: le norme contestate sono – a suo avviso – espressione della potestà legislativa che l'art. 117 della Costituzione attribuisce alle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni ambientali; le stesse norme, inoltre, se correttamente interpretate, sono conformi alla vigente legislazione statale.
3. – Nell'imminenza dell'udienza pubblica, la Regione Toscana ha depositato memoria, con la quale ribadisce l'infondatezza del ricorso statale.
Riguardo alla dedotta incostituzionalità dell'art. 32, comma 3, della legge regionale della Toscana n. 1 del 2005, si osserva che la disciplina del paesaggio coinvolge profili aventi incidenza su una pluralità di interessi ed oggetti che non ricadono solo nell'esclusiva competenza statale, ma attengono anche ad ambiti di competenza concorrente delle Regioni (principalmente: governo del territorio e valorizzazione dei beni culturali). L'ambiente, infatti, più che una materia, rappresenta un compito nell'esercizio del quale la legge statale indica standard di protezione uniformi su tutto il territorio nazionale, ma non esclude che le Regioni possano assumere finalità di tutela ambientale (si citano le sentenze n. 207 del 2002, n. 222 del 2003 e n. 62 del 2005); e ciò può avvenire, con riguardo alle questioni sollevate dal ricorso statale, nell'ambito del governo del territorio, non essendo dubbio che tra i valori che gli strumenti urbanistici devono perseguire, abbiano rilevanza non secondaria quelli artistici, storici, documentari e comunque attinenti alla cultura, nella polivalenza di sensi del termine (sentenza n. 232 del 2005).
La questione, dunque, deve essere affrontata unicamente chiedendosi se la Regione abbia rispettato i principi della legislazione statale in materia di governo del territorio e valorizzazione di beni paesaggistici, nonché gli standard stabiliti dallo Stato in materia di tutela paesaggistica.
I principi sono indicati negli art. 135 e 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, che, rispettivamente, assegnano al piano paesaggistico (o all'equivalente piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici) la definizione delle trasformazioni ammissibili riguardo ai beni tutelati, le azioni di recupero e gli interventi di valorizzazione paesaggistica e la ripartizione del territorio in ambiti omogenei con definizione per ciascun ambito degli obiettivi di qualità paesaggistica. Il piano paesaggistico ha contenuto descrittivo, prescrittivo e propositivo (a tal proposito l'art. 143, commi 3, 4 e 5, ne descrive l'elaborazione e dispone che, in relazione alla tipologia di opere e interventi di trasformazione del territorio, il piano stabilisca la disciplina autorizzatoria degli stessi in riferimento a determinate aree da individuare).
L'art. 144, comma 2, dello stesso Codice prevede espressamente che, qualora dall'applicazione dell'art. 143, commi 3, 4 e 5, derivi modificazione degli effetti e dei provvedimenti concernenti il regime degli immobili e delle aree di interesse paesaggistico, per effetto dell'approvazione dei piani urbanistici, l'entrata in vigore delle relative disposizioni è subordinata all'espletamento di determinate forme di pubblicità.
In conformità a detti principi, la legge toscana n. 1 del 2005, sul governo del territorio, stabilisce che gli strumenti di pianificazione perseguono finalità di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale (art. 30), riconoscendo così il primato della disciplina paesaggistica rispetto agli altri strumenti di pianificazione. Alle finalità di tutela paesaggistica concorrono, in base all'art. 31 della legge regionale, il piano regionale d'indirizzo territoriale, il piano provinciale di coordinamento e il piano strutturale comunale; in particolare, il piano regionale d'indirizzo territoriale individua i beni paesaggistici di notevole interesse pubblico, detta prescrizioni per la tutela, individua i criteri per la ripartizione del territorio in ambiti differenziati, cui provvede il piano provinciale di coordinamento, e attribuisce obiettivi di qualità paesaggistica. L'art. 33, attribuendo al piano regionale d'indirizzo territoriale valenza di piano paesaggistico, riproduce fedelmente il contenuto del piano, come da art. 143, comma 3, del Codice.
Tale disciplina non è impugnata dallo Stato, né avrebbe potuto esserlo, essendo meramente riproduttiva delle disposizioni del Codice.
L'art. 32, comma 2 (disposizione impugnata dallo Stato), dispone che, quando dall'applicazione dell'art. 33, commi 3 e 4, e dell'art. 34 derivi modificazione degli effetti e dei provvedimenti concernenti il regime degli immobili e delle aree di interesse paesaggistico, l'entrata in vigore delle relative disposizioni è subordinata all'espletamento delle forme di pubblicità: come si vede, la disposizione è anch'essa meramente riproduttiva dell'art. 144, comma 2, del Codice. L'eventuale accordo o intesa Stato-Regione – che secondo il ricorso statale sarebbe il presupposto per creare quegli effetti – è del tutto estraneo alla ratio e alla finalità della norma.
L'art. 5, comma 6, del Codice ha attribuito alle Regioni le funzioni amministrative di tutela del paesaggio, come l'art. 135 attribuisce alla Regione la competenza per l'approvazione del piano paesaggistico. L'art. 143, commi da 10 a 12, prevede la sola facoltà dell'intesa Stato-Regione nell'elaborazione del piano paesaggistico.
Se l'elaborazione congiunta avviene, l'effetto è di ottenere successivamente l'esonero dell'autorizzazione paesaggistica (come dispongono i commi da 5 a 8 dell'art. 143); diversamente, non si potrà prescindere da singoli atti autorizzativi, non trovando applicazione il regime semplificato e non avendo effetto l'individuazione delle aree da sottoporre a tutela. L'intesa non è dunque obbligatoria, ma, se è raggiunta, si ottengono quegli effetti.
La lettura secundum constitutionem della legge regionale non significa che la stessa escluda l'intesa, ove essa sia stata prescritta dallo Stato.
Riguardo alla dedotta incostituzionalità dell'art. 34, comma 3, non sarebbe fondata la censura secondo cui si rimetterebbe al piano strutturale comunale l'individuazione delle aree per la trasformazione delle quali è necessaria l'autorizzazione paesaggistica, o è sufficiente la verifica di conformità in contestualità con la vigilanza edilizia o in cui l'autorizzazione non è richiesta, trattandosi di aree degradate.
Non c'è violazione dell'art. 145, essendo ciò escluso dall'espressa affermazione regionale del primato paesaggistico (art. 30 citato). Inoltre, la Toscana ha optato per la tutela dei valori paesaggistici attraverso l'adozione del piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici e, nel rapporto tra i piani urbanistici, lo stesso è integrato, con riferimento alla disciplina dei beni paesaggistici, dal piano provinciale di coordinamento e dal piano strutturale comunale, in applicazione dell'art. 34, comma 1, secondo cui tutti i livelli di governo, ognuno per la propria competenza, collaborano per il perseguimento delle finalità paesaggistiche, in coerenza con il principio della cooperazione sancito dall'art. 132 del Codice.
L'art. 34, comma 3, specificamente impugnato dallo Stato, affida al piano strutturale comunale il compito di puntuale individuazione sul territorio delle aree in rapporto alla necessità dell'autorizzazione. Il che costituisce piena applicazione del principio di sussidiarietà, in coerenza con il peculiare rapporto che lega il Comune al suo territorio. La Regione mantiene la scelta definitiva, giacché attraverso il piano d'indirizzo territoriale dà le direttive ai Comuni per l'individuazione delle aree da sottoporre a tutela, ed esprime sulle scelte comunali parere vincolante ai fini dell'efficacia. E così sarebbe da escludere il contrasto con l'art. 143, comma 5, che affida al piano paesaggistico il compito di individuare le aree in rapporto alla necessità di autorizzazione paesaggistica.
Non v'è neppure contrasto con l'art. 143, comma 12, del codice, poiché, in mancanza di intesa tra Stato e Regione, non trova applicazione il comma 5, ovvero non può farsi luogo all'individuazione delle aree da tutelare. Non aver espressamente menzionato l'intesa non significa che la legge regionale l'abbia esclusa, ma solo che, se c'è pianificazione paesaggistica congiunta, si applica l'art. 34, comma 3, sull'inserimento nel piano strutturale comunale delle aree da tutelare.
Riguardo alla dedotta incostituzionalità dell'art. 105, non sarebbe fondata la censura di contrasto con l'art. 94 del testo unico dell'edilizia.
La materia della vigilanza sulle costruzioni a rischio sismico fa parte del “governo del territorio”, e quindi la questione va valutata unicamente alla luce dei principi statali in materia. L'art. 105 della legge regionale prevede, per le costruzioni in zona sismica, la denuncia di inizio dei lavori, ed il successivo art. 110 consente controlli a campione da parte della struttura regionale competente.
L'art. 20 della legge 10 dicembre 1981, n. 741, concernente la semplificazione dei procedimenti previsti dalla legislazione antisismica, consente alle Regioni di prevedere con legge la non necessità dell'autorizzazione preventiva, organizzando la vigilanza con modalità di controllo successivo a campione (e la Regione Toscana vi diede attuazione già con la legge regionale 6 dicembre 1982, n. 88).
Detta norma statale è ancora vigente, in quanto non espressamente abrogata dall'art. 136 del testo unico dell'edilizia. Inoltre, l'art. 1, comma 2, dello stesso t.u. mantiene ferma la vigenza di norme di settore aventi incidenza in materia edilizia, e tra queste è da comprendere l'art. 20 citato.

Considerato in diritto
1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita della legittimità costituzionale dell'art. 32, comma 3, della legge della Regione Toscana 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme per il governo del territorio), nella parte in cui dispone che – ove dall'applicazione dell'articolo 33, commi 3 e 4, o dell'articolo 34 (rispettivamente disciplinanti i contenuti dello statuto del piano di indirizzo territoriale e degli statuti del piano territoriale di coordinamento delle province e del piano strutturale dei comuni) derivi una modificazione degli effetti degli atti e dei provvedimenti di cui agli articoli 157 (imposizione del vincolo paesaggistico in base alla legislazione statale anteriore), 140 (dichiarazione regionale di notevole interesse pubblico) e 141 (provvedimento ministeriale sostitutivo della dichiarazione regionale di notevole interesse pubblico) del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) – l'entrata in vigore delle relative disposizioni di quegli strumenti di pianificazione territoriale è subordinata esclusivamente all'espletamento delle forme di pubblicità indicate nell'articolo 140, commi 2, 3 e 4, del medesimo Codice (notifica a proprietari, possessori, detentori; trascrizione; pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e nel Bollettino Ufficiale della Regione; affissione per novanta giorni nell'albo pretorio dei Comuni interessati), per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione, poiché, non facendo riferimento all'accordo tra Stato e Regione per apportare adeguamenti al piano paesaggistico elaborato d'intesa, contrasterebbe con l'art. 143, commi 11 e 12, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, che sottopone all'accordo la revisione del piano, con particolare riguardo alle sopravvenute dichiarazioni di notevole interesse pubblico, così invadendo, con riguardo ai beni paesaggistici, la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, e la legislazione di principio nelle materie “governo del territorio” e “valorizzazione dei beni culturali”.
Lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri dubita altresì della legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 3, della stessa legge regionale del 2005, nella parte in cui prevede che sia il piano strutturale a modulare il regime autorizzatorio («indicare le aree in cui la realizzazione degli interventi non è soggetta all'autorizzazione paesaggistica di cui all'art. 87 della legge regionale»), in diretto contrasto non solo con l'art. 143, comma 5, del decreto legislativo n. 42 del 2004, che attribuisce al piano paesaggistico regionale l'individuazione di tali aree, ma anche con l'art. 145 del medesimo decreto, che ordina gerarchicamente gli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali, e con l'art. 143, comma 12, ove si esclude l'applicabilità del comma 5 del medesimo articolo (il quale prevede che il piano paesaggistico regionale possa individuare le aree nelle quali la realizzazione di opere è soggetta ad autorizzazione e le aree nelle quali tale autorizzazione non è richiesta), qualora il piano paesaggistico non sia stato elaborato congiuntamente previo accordo tra la Regione ed il Ministero per i beni e le attività culturali, in violazione dei principi fondamentali in materia di governo del territorio.
Con il medesimo ricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri dubita, infine, della legittimità costituzionale dell'art. 105, comma 3, della legge della Regione Toscana n. 1 del 2005, là dove dispone che, per gli interventi in zona sismica, deve darsi preavviso scritto alla struttura regionale competente, allegando progetto dell'opera, relazione tecnica e relazione sulla fondazione (commi 1 e 2), senza che, per iniziare i lavori, sia necessaria l'autorizzazione della struttura regionale competente, per violazione dell'art. 117, terzo comma, e 117, secondo comma, lettere l) e m), della Costituzione, poiché, derogando alla prescrizione di preventiva autorizzazione, richiesta dall'art. 18 della legge 3 febbraio 1974, n. 64 (Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche), a tutela dell'incolumità pubblica, e ribadita dall'art. 94 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), sarebbe invasiva della competenza legislativa di principio dello Stato in materia di governo del territorio e di protezione civile, e della competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento civile e di livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili.
2. – Le questioni di legittimità costituzionale, sollevate nei confronti dell'art. 32, comma 3, dell'art. 34, comma 3, e dell'art. 105, comma 3, della legge della Regione Toscana n. 1 del 2005, sono fondate.
Nelle prime due questioni indicate – concernenti la pianificazione paesaggistica da parte della Regione – lo Stato fa valere la propria potestà legislativa primaria in materia di ambiente e beni culturali (art. 117, secondo comma, lettera s, della Costituzione) e la propria potestà di stabilire principi fondamentali in materia di governo del territorio e valorizzazione dei beni culturali (art. 117, terzo comma, della Costituzione), ai quali le Regioni devono sottostare nell'esercizio delle proprie competenze, cooperando eventualmente ad una maggior tutela del paesaggio, ma sempre nel rispetto dei principi fondamentali fissati dallo Stato.
Le questioni sollevate dal ricorso attengono ai temi della tutela del paesaggio e del governo del territorio, alle relative competenze, legislative e amministrative, e alle reciproche interferenze.
La tutela tanto dell'ambiente quanto dei beni culturali è riservata allo Stato (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.), mentre la valorizzazione dei secondi è di competenza legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.): da un lato, spetta allo Stato il potere di fissare principi di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, e, dall'altro, le leggi regionali, emanate nell'esercizio di potestà concorrenti, possono assumere tra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale, purché siano rispettate le regole uniformi fissate dallo Stato.
Appare, in sostanza, legittimo, di volta in volta, l'intervento normativo (statale o regionale) di maggior protezione dell'interesse ambientale (sentenze n. 62, n. 232 e n. 336 del 2005).
In relazione alla pianificazione paesaggistica, lo Stato, nella parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio, pone una disciplina dettagliata, cui le Regioni devono conformarsi, provvedendo o attraverso tipici piani paesaggistici, o attraverso piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici (art. 135, comma 1). L'opzione per questo secondo strumento, adottato anche dalla legge regionale della Toscana oggetto di censura, comporta che, nella disciplina delle trasformazioni – com'è negli scopi del piano urbanistico –, la tutela del paesaggio assurga a valore primario, cui deve sottostare qualsiasi altro interesse interferente (art. 135, comma 2).
L'art. 143 descrive il contenuto del piano, che è ricognitivo, prescrittivo e propositivo. La parte prescrittiva – che ha sollecitato le censure del Presidente del Consiglio dei ministri, riguardo al recepimento operato nella legge della Regione Toscana – è contenuta nei commi da 5 a 8, che, con riferimento agli interventi apprestabili sui beni tutelati, prevede una modulazione del regime autorizzatorio, a tre livelli: regime autorizzatorio rafforzato (comma 5, lettera a), riguardante le aree di pregio, per le quali qualsiasi trasformazione deve essere autorizzata; regime autorizzatorio attenuato (lettera b), riguardante le aree di minor pregio, in cui la compatibilità paesistica può esser valutata nell'ambito del procedimento autorizzatorio edilizio; regime autorizzatorio escluso (lettera c), in cui la pregressa compromissione del valore paesaggistico fa soprassedere alla necessità di autorizzazione, per le operazioni di recupero e riqualificazione.
La diversa modulazione del regime autorizzatorio, in rapporto agli ambiti territoriali e agli obiettivi di qualità paesaggistica, è operativa nella misura in cui il piano paesaggistico, o il piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici, sia stato oggetto di elaborazione congiunta tra il Ministero e la Regione.
La ratio della disciplina statale è nel senso che, affermata la competenza regionale nella pianificazione paesaggistica, in quello che è effetto saliente di essa, ovvero la modifica di regime dei beni che essa recepisce e il cui uso deve regolare, lo Stato deve poter interloquire attraverso forme di concertazione, senza le quali la Regione può ben elaborare autonomamente il piano, senza però che quell'effetto si produca.
2.1. – La legge della Regione Toscana n. 1 del 2005, che regola il piano di indirizzo territoriale, il cui statuto ha valore di piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici (art. 33), riproduce, quasi testualmente, il contenuto dell'art. 143 e ciò, secondo la difesa regionale, dimostrerebbe la conformità della norma regionale ai principi statali.
La tesi non può essere seguita dal momento che, al di là della programmatica enunciazione dell'art. 30, comma 1, della legge regionale n. 1 del 2005 – secondo cui «gli strumenti della pianificazione territoriale e gli atti di governo del territorio si conformano alle disposizioni di cui al presente capo, aventi la finalità di tutelare e valorizzare la bellezza dei paesaggi ed il pregio dei beni culturali e del patrimonio storico e naturale presenti nel territorio della Regione» – né nell'art. 33, né in alcuna altra parte della stessa legge, è riportata la clausola di cui all'art. 143, comma 12, del Codice, secondo cui quanto previsto dai commi da 5 a 8 dell'art. 143 non trova applicazione se il piano paesaggistico non è stato elaborato d'intesa con lo Stato.
La legge regionale non effettua tale richiamo, facendo dipendere la modifica del regime giuridico dei beni paesaggistici, in sostanza, dal solo espletamento delle forme di pubblicità del piano (art. 32, comma 3).
Non è da condividere la difesa regionale, secondo cui sarebbe ammissibile una lettura secundum constitutionem, attraverso l'inserzione automatica della disposizione di cui all'art. 143, comma 12, del Codice.
Il rilievo critico di fondo della disciplina regionale attiene alla tecnica di redazione del testo normativo, e così di recepimento della fonte sopraordinata.
L'estrema minuziosità della disciplina regionale, anche attraverso la pedissequa riproduzione delle altrettanto dettagliate disposizioni del Codice sui contenuti del piano paesaggistico, non può non far ritenere la necessità che la fondamentale condizione di applicabilità della parte precettiva del piano – la modifica del regime dei beni paesaggistici recepiti dal piano è la ragione stessa della pianificazione paesaggistica – sia positivamente inserita nel tessuto normativo alla stregua di una regolamentazione completa, omogenea e contestuale.
La Regione ha previsto (o meglio, ha implicitamente previsto) che la modifica al regime giuridico dei beni paesaggistici si compia senza che lo Stato abbia partecipato all'elaborazione del piano, in tal modo violando il principio secondo cui solo se il piano paesaggistico è stato elaborato d'intesa, il vincolo paesaggistico che grava sui beni può essere tramutato in una disciplina d'uso del bene stesso.
La prima questione è quindi fondata e deve, pertanto, dichiararsi l'illegittimità costituzionale dell'art. 32, comma 3, della legge regionale della Toscana n. 1 del 2005, nella parte in cui non prevede che, ove non venga stipulato l'accordo per l'elaborazione d'intesa del piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici tra le Regioni, il Ministero per i beni e le attività culturali ed il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, ovvero ad esso non segua l'elaborazione congiunta del piano, non trova applicazione quanto previsto nell'art. 143, commi 5, 6, 7, 8, del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
2.2. – Relativamente alla seconda questione, con la quale si contesta la legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 3, della legge della Regione Toscana n. 1 del 2005, è da rilevare che la Regione fa disciplinare i beni paesaggistici dal piano strutturale dei Comuni – sia pure sulla base delle indicazioni del piano di indirizzo territoriale e del piano territoriale – in tal modo sottraendo la disciplina paesaggistica dal contenuto del piano, sia esso tipicamente paesaggistico, o anche urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici, che deve essere unitario, globale, e quindi regionale, e al quale deve sottostare la pianificazione urbanistica ai livelli inferiori.
L'art. 135 del Codice è tassativo, relativamente al piano paesaggistico, nell'affidarne la competenza alla Regione. L'art. 143 elenca dettagliatamente i suoi contenuti e l'art. 145 definisce i rapporti con «gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province» secondo un modello rigidamente gerarchico (immediata prevalenza del primo, obbligo di adeguamento dei secondi con la sola possibilità di introdurre ulteriori previsioni conformative che «risultino utili ad assicurare l'ottimale salvaguardia dei valori paesaggistici individuati dai piani»).
La scelta della Regione Toscana di elaborare un piano d'indirizzo territoriale, il cui statuto abbia valenza di piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici, ha comportato che, muovendosi nell'ambito della normativa generale sul governo del territorio, non sia stata abbandonata, anche riguardo al paesaggio, la logica tradizionale della pianificazione urbanistica, di demandare agli strumenti inferiori la disciplina sempre più specifica.
Si è così fatto “scorrere” dal piano urbanistico-territoriale al piano strutturale dei Comuni l'individuazione delle aree “già paesaggistiche” per le quali non si ritenga necessaria l'autorizzazione (poiché soppressa tout court o assorbita nel titolo edilizio) e la decisione di sottoporre a monitoraggio le trasformazioni territoriali quale condizione per l'entrata in vigore delle norme che consentono la realizzazione di opere con il solo rilascio del titolo edilizio (art. 34, commi 3 e 5), sia pure sulla base delle indicazioni generali del piano regionale d'indirizzo territoriale (art. 33, comma 1) e gli obiettivi di qualità e criteri di riparto territoriale del piano provinciale di coordinamento (art. 34, comma 1); con la conseguenza che, in ultima analisi, è il piano strutturale, ossia l'ordine inferiore della pianificazione, che detta la disciplina concreta dei beni paesaggistici.
La legge toscana sul governo del territorio tende al superamento della separatezza tra pianificazione territoriale ed urbanistica, da un lato, e tutela paesaggistica dall'altro, facendo rientrare la tutela del paesaggio nell'ambito del sistema della pianificazione del territorio e rendendo pertanto partecipi anche i livelli territoriali inferiori di governo (province e comuni) nella disciplina di tutela del paesaggio. Il principio di fondo di questo sistema – che è condivisibile nella misura in cui gli enti locali sono chiamati a contribuire alla pianificazione regionale (art. 144, comma 1, del Codice); ed in cui gli strumenti di pianificazione territoriale dei livelli sub-regionali di governo perseguano, attraverso la propria disciplina, obiettivi di tutela e valorizzazione del paesaggio (art. 145, comma 4) – presenta però il suo elemento critico, laddove, trasferendo le decisioni operative concernenti il paesaggio alla dimensione pianificatoria comunale, si pone in contraddizione con il sistema di organizzazione delle competenze delineato dalla legge statale a tutela del paesaggio, che costituisce un livello uniforme di tutela, non derogabile dalla Regione, nell'ambito di una materia a legislazione esclusiva statale ex art. 117 Cost., ma anche della legislazione di principio nelle materie concorrenti del governo del territorio e della valorizzazione dei beni culturali.
La giurisprudenza costituzionale ha ammesso che le funzioni amministrative, inizialmente conferite alla Regione, possano essere attribuite agli enti locali (sentenze n. 259 del 2004 e n. 214 del 2005, in materia ambientale), ma è l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica che è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull'intero territorio nazionale: il paesaggio va, cioè, rispettato come valore primario, attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali.
In relazione a tutte le norme statali interposte, che sono state indicate nel ricorso, sussiste il contrasto: con l'art. 143, comma 5, del Codice, che attribuisce al piano paesaggistico regionale l'individuazione delle aree tutelabili; con l'art. 145 del Codice, che ordina gerarchicamente gli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali; e con l'art. 143, comma 12, dello stesso Codice, ove si esclude l'applicabilità del comma 5 del medesimo articolo, qualora sia mancata l'intesa per l'elaborazione del piano.
Va, pertanto, dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 34, comma 3, della legge della Regione Toscana n. 1 del 2005, per violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, in considerazione del mancato rispetto delle norme interposte ora richiamate, nella parte in cui stabilisce che sia il piano strutturale comunale, anziché il piano regionale paesaggistico, a indicare le aree in cui la realizzazione degli interventi non è soggetta all'autorizzazione di cui all'art. 87 della legge regionale.
3. – Anche la questione di legittimità costituzionale sollevata nei confronti dell'art. 105, comma 3, della legge della Regione Toscana n. 1 del 2005, è fondata.
Dispone questa norma che, per gli interventi in zona sismica, deve semplicemente darsi preavviso scritto alla struttura regionale competente, allegando il progetto dell'opera, una relazione tecnica e una relazione sulla fondazione (commi 1 e 2), senza che, per iniziare i lavori, sia necessaria l'autorizzazione della struttura regionale, salva la possibilità di controlli a campione da parte delle individuate strutture regionali (art. 110).
E' bensì vero che già a partire dalla legge della Regione Toscana 6 dicembre 1982, n. 88 (Ulteriori norme per l'accelerazione delle procedure per l'esecuzione di opere pubbliche), operava nella Regione l'istituto della denuncia di inizio dell'attività (art. 2), in attuazione dell'art. 20 della legge 10 dicembre 1981, n. 741 (Ulteriori norme per l'accelerazione delle procedure per l'esecuzione delle opere pubbliche), che in materia di interventi in zona a rischio sismico abilitava le regioni a sostituire il sistema di monitoraggio connesso al regime autorizzatorio, di cui all'art. 18 della legge 2 febbraio 1974, n. 64 (Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche), con “modalità di controllo successivo”.
Questo principio è però venuto meno a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 94 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), il quale prevede l'autorizzazione regionale esplicita. L'intento unificatore della legislazione statale è palesemente orientato ad esigere una vigilanza assidua sulle costruzioni riguardo al rischio sismico, attesa la rilevanza del bene protetto, che trascende anche l'ambito della disciplina del territorio, per attingere a valori di tutela dell'incolumità pubblica che fanno capo alla materia della protezione civile, in cui ugualmente compete allo Stato la determinazione dei principi fondamentali.
Né costituisce argomento probante, per avallare la tesi della Regione, la circostanza che la legge n. 741 del 1981 non compaia fra quelle abrogate dall'art. 136 del richiamato d.P.R. n. 380 del 2001, dal momento che non se ne fa espressa menzione neppure nell'elenco delle disposizioni di legge mantenute in vigore (art. 137).
L'opzione per una disciplina derogatoria a sistemi di controllo semplificato, ove siano coinvolti interessi primari della collettività, ha ricevuto, infine, conferma dall'art. 3 del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 14 maggio 2005, n. 80, che generalizzando – a modifica dell'art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 – il regime della denuncia di inizio attività, esclude tuttavia dalla procedura semplificata «gli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla tutela della salute e della pubblica incolumità…».
Va, pertanto, dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 105, comma 3, della legge della Regione Toscana n. 1 del 2005, per violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, in considerazione del mancato rispetto della norma statale di principio sul controllo delle costruzioni a rischio sismico, nella parte in cui non dispone che non si possono iniziare lavori senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della Regione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 32, comma 3, della legge della Regione Toscana 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme per il governo del territorio), nella parte in cui non prevede che, ove dall'applicazione dell'articolo 33, commi 3 e 4, o dell'articolo 34 della stessa legge derivi una modificazione degli effetti degli atti e dei provvedimenti di cui agli articoli 157, 140 e 141 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), tale modificazione è subordinata all'accordo per l'elaborazione d'intesa tra la Regione, il Ministero per i beni e le attività culturali ed il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio del piano paesaggistico con specifica considerazione dei valori paesaggistici, concernente l'intero territorio regionale, e all'elaborazione congiunta del piano;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 34, comma 3, della medesima legge regionale della Toscana n. 1 del 2005, nella parte in cui stabilisce che sia il piano strutturale del Comune a indicare le aree in cui la realizzazione degli interventi non è soggetta all'autorizzazione paesaggistica di cui all'art. 87 della legge regionale, anziché il piano regionale paesaggistico con specifica considerazione dei valori paesaggistici;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 105, comma 3, della medesima legge regionale della Toscana n. 1 del 2005, nella parte in cui non dispone che, per gli interventi in zona sismica, non si possono iniziare lavori senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della Regione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 2006.

Annibale MARINI, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2006.