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Corte Costituzionale sentenza n. 398 dell' 1 dicembre 2006

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
- Paolo MADDALENA
- Alfio FINOCCHIARO
- Alfonso QUARANTA
- Franco GALLO
- Luigi MAZZELLA
- Gaetano SILVESTRI
- Sabino CASSESE
- Maria Rita SAULLE
- Giuseppe TESAURO
- Paolo Maria NAPOLITANO

Presidente

Giudice

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ha pronunciato la seguente sentenza

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 maggio 2005, n. 11 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione Friuli-Venezia Giulia derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Attuazione della direttiva 2001/42/CE, della direttiva 2003/4/CE e della direttiva 2003/78/CE. Legge comunitaria 2004), pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione n. 19 dell’11 maggio 2005, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato l’8 luglio 2005, depositato in cancelleria il 14 luglio 2005 ed iscritto al n. 70 del registro ricorsi del 2005.
Visto l’atto di costituzione della Regione Friuli-Venezia Giulia;
udito nell’udienza pubblica del 7 novembre 2006 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;
uditi l’avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione Friuli-Venezia Giulia.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso notificato l’8 luglio 2005 e depositato il 14 luglio 2005, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 maggio 2005, n. 11 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione Friuli-Venezia Giulia derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Attuazione della direttiva 2001/42/CE, della direttiva 2003/4/CE e della direttiva 2003/78/CE. Legge comunitaria 2004), pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione n. 19 dell’11 maggio 2005, in riferimento agli artt. 4, 5 e 6 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), all’art. 117, primo comma, secondo comma, lettere r) e s), e quinto comma, della Costituzione, ed all’art. 16 della legge 4 febbraio 2005, n. 11 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari).
Il ricorrente premette che, pur non disconoscendo la competenza delle Regioni e delle Province autonome a recepire le direttive comunitarie, il rispetto delle attribuzioni costituzionali di Stato e Regione deve essere valutato in relazione al limite contenuto nel primo comma dell’art. 117 Cost., che, «in aderenza all’obbligo di armonizzazione derivante dalla appartenenza dell’Italia alla Unione europea, impone la necessità della valutazione degli interessi unitari che discendono dalla finalità della normativa comunitaria da recepire». In questa prospettiva andrebbe interpretato anche quanto stabilito dall’art. 16 della legge statale n. 11 del 2005.
Invece, ad avviso del Presidente del Consiglio, la legge regionale impugnata non avrebbe tenuto conto delle suddette esigenze unitarie, recependo direttive il cui procedimento di attuazione da parte del legislatore statale si è già concluso o sta per concludersi.
1.1. – Con riguardo allo specifico contenuto della legge impugnata, il ricorso governativo rileva, preliminarmente, che la disciplina prevista nei Capi I e II, essendo attinente alla materia ambientale, non rientrerebbe nella competenza regionale di cui agli artt. 4, 5 e 6 dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia.
1.2. – In particolare, il Capo I della legge impugnata (artt. 2-12), recependo la direttiva 2001/42/CE del 27 giugno 2001 (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente), violerebbe la competenza esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. L’attinenza della normativa citata alla materia della tutela dell’ambiente risulterebbe particolarmente evidente dalla lettura degli obiettivi fissati dall’art. 1 della medesima direttiva (garanzia di «un elevato livello di protezione dell’ambiente» e integrazione di «considerazioni ambientali all’atto dell’elaborazione e dell’adozione di piani e programmi al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile»). Siffatti obiettivi, a detta del ricorrente, costituiscono «standard di tutela la cui fissazione è riservata allo Stato nel suo ruolo di organo deputato alla cura di interessi di natura necessariamente unitaria»; pertanto, non sarebbe consentito «un intervento (nemmeno “sostitutivo” in sede di recepimento, come nel caso in esame) del legislatore regionale».
Secondo la difesa erariale, quindi, risulterebbe violato anche l’art. 117, quinto comma, Cost., che abilita le Regioni a provvedere all’attuazione delle direttive comunitarie nelle sole «materie di loro competenza», e l’art. 16 della legge n. 11 del 2005.
Il Presidente del Consiglio rileva, inoltre, che con l’art. 1 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004), il Governo è stato delegato ad adottare i decreti legislativi per l’attuazione di una serie di direttive, fra cui la 2001/42/CE, recepita dal Capo I della legge regionale impugnata.
Successivamente alla proposizione del presente ricorso, è stato emanato il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) che dà attuazione alla direttiva in parola.
1.3. – Considerazioni in parte analoghe valgono, a detta del ricorrente, anche per il Capo II della legge impugnata (artt. 13-15), che attua la direttiva 2003/4/CE del 28 gennaio 2003 (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale e che abroga la direttiva 90/313/CEE del Consiglio). La pertinenza della normativa in esame alla materia della tutela dell’ambiente sarebbe «fuor di dubbio»; obiettivo della normativa comunitaria de qua è, infatti, quello di «garantire il diritto di accesso all’informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche».
Anche in questo caso, pertanto, il recepimento della direttiva in parola spetterebbe allo Stato, trattandosi di materia di sua esclusiva competenza, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), e quinto comma, Cost. Al riguardo, la difesa erariale segnala che il Governo ha predisposto una schema di decreto legislativo attuativo della direttiva 2003/4/CE; il suddetto testo, successivamente alla proposizione del presente ricorso, è stato approvato definitivamente dal Consiglio dei ministri ed emanato con il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195 (Attuazione della direttiva 2003/4/CE sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale).
Sarebbe inoltre violato l’art. 117, secondo comma, lettera r), Cost., a causa della «contiguità» della normativa impugnata con la materia del «coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale», di cui alla norma costituzionale citata.
1.4. – Infine, la difesa dello Stato censura il Capo III della legge regionale impugnata (artt. 16-17), con il quale è stata recepita la direttiva 2003/78/CE dell’11 agosto 2003 (Direttiva della Commissione relativa ai metodi di campionamento e di analisi per il controllo ufficiale dei tenori di patulina nei prodotti alimentari). In proposito, il ricorrente rileva che la direttiva in parola è già stata attuata con il decreto del Ministro della Salute 17 novembre 2004 (Recepimento della direttiva 2003/78/CE dell’11 agosto 2003 della Commissione, relativa ai metodi di campionamento e di analisi per il controllo ufficiale dei tenori di patulina nei prodotti alimentari) e che «trattasi di normativa tecnica [la quale], per definizione, soddisfa ad esigenze unitarie a tutela della salute e del commercio».
La difesa erariale conclude ritenendo che il Capo III della legge impugnata violi l’art. 117, primo e quinto comma, Cost., e l’art. 16 della legge n. 11 del 2005, «da considerare norma interposta».
2. – Con atto depositato il 26 luglio 2005, la Regione Friuli-Venezia Giulia si è costituita in giudizio, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile ed infondato, per le ragioni esposte con separata memoria nel corso del giudizio.
3. – In data 2 maggio 2006 la Regione Friuli-Venezia Giulia ha depositato una memoria con la quale insiste nelle conclusioni già formulate nell’atto di costituzione.
3.1. – In particolare, la difesa regionale, dopo aver ricostruito il quadro delle competenze legislative e amministrative della Regione, risultanti dalle norme statutarie, precisa che la direttiva 2001/42/CE, attuata dal Capo I della legge impugnata, incide su diverse materie di competenza regionale. Pertanto, la Regione Friuli-Venezia Giulia «aveva il potere e il dovere di recepire la direttiva comunitaria, salva la competenza statale per la fissazione di standard minimi di tutela dell’ambiente». A detta della stessa difesa, la mancata attuazione della direttiva, che doveva essere recepita dagli Stati membri entro il 21 luglio 2004, per un verso, avrebbe determinato l’illegittimità sia delle norme legislative disciplinanti i piani oggetto di essa sia dei relativi atti amministrativi, per l’altro verso, avrebbe esposto la Regione all’esercizio del potere sostitutivo statale.
Peraltro, la medesima direttiva, come ricorda la resistente, è già stata attuata dalla Regione Veneto con la legge 23 aprile 2004, n. 11 (Norme per il governo del territorio), e le norme relative alla valutazione ambientale strategica (VAS) contenute in quest’ultima legge non sono state impugnate dal Governo.
La difesa regionale esamina, poi, il contenuto delle disposizioni contenute nel Capo I della legge impugnata, soffermandosi in particolare sull’art. 2, in cui si stabilisce che le disposizioni contenute nel Capo I danno attuazione alla citata direttiva «con riferimento alle materie di competenza regionale e nel rispetto dei principi generali desumibili dalla medesima, nonché dei principi e criteri direttivi generali contenuti nella normativa statale».
La Regione Friuli-Venezia Giulia sottolinea, inoltre, come l’art. 12 della legge impugnata contenga una ulteriore «espressa clausola di salvaguardia della competenza statale», là dove dispone che «le disposizioni contenute nel presente capo e nei regolamenti attuativi sono adeguate agli eventuali principi generali successivamente individuati dallo Stato nelle proprie materie di competenza esclusiva e concorrente di cui all’articolo 117, secondo e terzo comma, della Costituzione, con riferimento alla direttiva 2001/42/CE» e che «gli atti normativi statali di cui al comma 1 si applicano, in luogo delle disposizioni regionali in contrasto, sino alla data di entrata in vigore della normativa regionale di adeguamento».
Pertanto, secondo la resistente, la legge regionale impugnata, pur precisando che le norme sulla VAS riguardano i piani e i programmi elaborati per settori attinenti a materie di competenza primaria o concorrente della Regione (art. 3, comma 2, della stessa legge), con le norme di cui agli artt. 2 e 12 si è preoccupata di fare salva la competenza statale, «nella consapevolezza che lo Stato è titolare di una funzione “trasversale” di tutela dell’ambiente».
In merito alle singole censure, la difesa regionale prende le mosse dalla presunta violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., che, secondo il ricorrente, imporrebbe «la necessità della valutazione degli interessi unitari che discendono dalla finalità della normativa comunitaria da recepire». Ad avviso della Regione, questa censura sarebbe, innanzitutto, manifestamente inammissibile, in quanto, trattandosi di legge di una Regione a statuto speciale, lo Stato non avrebbe argomentato la ragione per cui si debba applicare una norma del titolo V della parte seconda della Costituzione anziché quelle statutarie.
In ogni caso, la predetta questione sarebbe anche infondata. Al riguardo, la Regione, pur ammettendo che in alcuni casi possa essere necessaria un’attuazione unitaria delle direttive in deroga al riparto costituzionale di competenza, rileva che tale necessità deve «derivare con evidenza dalla normativa comunitaria, sulla base di esigenze organizzative che ragionevolmente facciano capo all’Unione europea stessa», come rilevato da questa Corte nella sentenza n. 126 del 1996. Nel caso specifico della direttiva 2001/42/CE, l’esigenza di una attuazione unitaria non risulterebbe «in alcun modo»; d’altra parte, osserva la resistente, il ricorso argomenta le esigenze unitarie semplicemente affermando che le direttive 2001/42/CE e 2003/4/CE attengono alla materia ambientale, la quale presenterebbe per sua natura un carattere fortemente unitario. La censura sarebbe, dunque, anche inammissibile per genericità, non essendo menzionata alcuna norma della direttiva 2001/42/CE da cui risulti l’esigenza di attuazione unitaria.
In merito alla presunta violazione degli artt. 4, 5 e 6 dello statuto speciale, la Regione, pur reputandola «l’unica ammissibile», ritiene la stessa «palesemente infondata», sottolineando, in proposito, che «è pacifico ormai da decenni» che le Regioni, sia ordinarie sia speciali, possano dettare norme in materia ambientale. Pertanto, la censura statale sarebbe da rigettare, in quanto il ricorrente si è limitato «ad affermare l’assenza di competenza regionale nella materia dell’ambiente, affermazione del tutto infondata».
In riferimento alla presunta violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., la difesa regionale, oltre a rilevare l’inammissibilità della questione per la mancata indicazione delle ragioni in virtù delle quali dovrebbe applicarsi una norma del titolo V della parte seconda della Costituzione ad una Regione a statuto speciale, ritiene che la stessa sia anche infondata. In particolare, la resistente contesta l’affermazione contenuta nel ricorso, secondo cui la direttiva in esame fisserebbe standard uniformi di tutela; essa, invece, a detta della Regione, avrebbe «carattere procedurale», come si evincerebbe dal punto 9 della premessa della stessa direttiva.
La tutela ambientale nella direttiva in parola sarebbe, dunque, «affidata alla valutazione amministrativa, senza predeterminazione di soglie e standard minimi», con la conseguenza che l’attuazione della direttiva non ricadrebbe nell’ambito riservato alla competenza statale.
Qualora, invece, si ritenesse che la direttiva fissi standard minimi di tutela, la resistente ritiene che la Regione non debba aspettare l’attuazione statale, «senza poter adottare medio tempore norme che si adeguino alla direttiva e, dunque, senza poter adempiere gli obblighi comunitari nelle varie materie regionali incise dalla direttiva». In particolare, si rileva che lo Stato non ha provveduto ad attuare la detta direttiva e che, pertanto, in mancanza di standard statali, la sua attuazione da parte della Regione non può implicare violazione di questi ultimi, che, come detto, non esistono.
D’altronde, proprio perché la tutela dell’ambiente costituisce una «funzione spettante a Stato e Regioni», queste «possono senz’altro attuare direttive comunitarie che intervengano nelle materie regionali con finalità di tutela dell’ambiente, nella misura in cui non ledono la funzione statale di tutela uniforme».
La Regione avrebbe quindi legittimamente dato attuazione alla direttiva 2001/42/CE, precisando che ciò avveniva «con riferimento alle materie di competenza regionale e nel rispetto dei principi generali desumibili dalla medesima, nonché dei principi e criteri direttivi generali contenuti nella normativa statale» (art. 2 della legge impugnata), sancendo il dovere di adeguamento alle successive norme statali adottate nell’esercizio delle rispettive competenze (art. 12, comma 1) e riconoscendo il diretto vigore delle sopraggiunte norme statali (art. 12, comma 2).
Proprio in relazione alla norma da ultimo citata, la difesa regionale osserva che mentre questa prevede l’immediata applicazione delle norme statali, l’art. 50 del d.lgs. n. 152 del 2006 – attuativo a livello statale della citata direttiva – dispone che le Regioni adeguino le proprie norme alle disposizioni statali in tema di VAS entro il termine di centoventi giorni dalla pubblicazione del presente decreto e che, in mancanza di adeguamento, si applichino le norme statali. Secondo la resistente, quindi, il d.lgs. n. 152 del 2006 avallerebbe l’esistenza di discipline regionali in materia di VAS e consentirebbe l’ulteriore applicazione di quelle discipline per centoventi giorni.
In merito alla censura fondata sull’art. 117, quinto comma, Cost., la difesa regionale afferma che la sua infondatezza risulterebbe da quanto sopra esposto, poiché la Regione non avrebbe legiferato «fuori materia».
3.2. – Con riferimento alla presunta illegittimità delle norme contenute nel Capo II della legge impugnata, la resistente, dopo averne illustrato il contenuto, esamina le diverse censure prospettate nel ricorso dello Stato.
Quanto al contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., la difesa regionale richiama le argomentazioni già svolte in relazione all’analoga censura avanzata contro il Capo I della legge reg. n. 11 del 2005, sia in relazione alla «duplice inammissibilità» della questione (per mancata motivazione sulla applicabilità di una norma del titolo V della parte seconda della Costituzione ad una Regione a statuto speciale e per genericità della censura), sia relativamente alla sua infondatezza.
Anche per quanto concerne la presunta violazione degli artt. 4, 5 e 6 dello statuto speciale, la difesa regionale rinvia alle argomentazioni svolte in relazione al Capo I, nelle quali è stato evidenziato che le Regioni sono «pacificamente» dotate di potestà legislativa in materia ambientale.
Inoltre, a detta della resistente, il Capo II della legge impugnata non attiene alla materia ambientale, sia perché non tutte le «informazioni ambientali» hanno ad oggetto specifico l’ambiente – ad esempio, l’art. 13, comma 1, lettere c), e) e f) –, sia perché «l’ambiente può essere l’oggetto delle informazioni di cui si vuole garantire la conoscibilità, ma non è l’oggetto delle norme impugnate».
Il Capo II della legge reg. n. 11 del 2005 sarebbe, invece, attinente, da un lato, alla materia dell’«ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione» ed a quella dell’«ordinamento degli enti locali» (entrambe rientranti nella competenza legislativa primaria ai sensi dell’art. 4, numeri 1 e 1-bis, dello statuto friulano), e, dall’altro lato, tale normativa concernerebbe la «disciplina dei rapporti tra privati e pubblica amministrazione in relazione all’azione amministrativa (in particolare, in relazione all’accesso ed al diritto all’informazione), anch’essa di competenza regionale salva la determinazione statale dei livelli essenziali delle prestazioni».
La competenza statale da ultimo richiamata, a sua volta, non sarebbe violata, in quanto la legge reg. n. 11 del 2005 fornirebbe una «tutela più ampia» rispetto sia alla precedente legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), sia al successivo d.lgs. n. 195 del 2005.
Sulla base delle suddette argomentazioni, la difesa regionale conclude per l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale.
Qualora, poi, si ritenesse che le norme impugnate rientrino nella materia «tutela dell’ambiente», la resistente ritiene che si debba escludere che esse incidano sulla competenza statale di dettare standard uniformi di tutela, per cui, anche in questo caso, la censura sarebbe infondata.
In merito alla presunta violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera r), Cost., la Regione Friuli ritiene che tale questione sia, in primo luogo, inammissibile, perché il ricorrente non avrebbe indicato le ragioni per cui si debba applicare ad una Regione speciale una norma del titolo V della parte seconda della Costituzione. Nel merito, la questione sarebbe infondata in quanto la competenza statale in materia di coordinamento informativo ed informatico «non può certo essere dilatata fino a comprendere tutte le modalità di soddisfacimento del diritto all’informazione». Al riguardo, viene richiamata la giurisprudenza di questa Corte in cui si precisa che quella di cui all’art. 117, secondo comma, lettera r), Cost., è una competenza di tipo tecnico volta a rendere omogenei i dati delle diverse amministrazioni. Nel caso in esame, invece, non ricorrerebbero i caratteri sopra indicati.
3.3. – A parere della Regione resistente, risulterebbe inammissibile ed infondata anche la questione di legittimità costituzionale relativa al Capo III della legge reg. n. 11 del 2005.
Quanto all’inammissibilità, la Regione osserva che le norme in esame non sono oggetto di impugnazione né nella delibera del Consiglio dei ministri del 24 giugno 2005, né nella relazione del Dipartimento per gli affari regionali cui la delibera rinvia.
La questione sarebbe, inoltre, inammissibile in relazione all’art. 117, primo comma, Cost., in quanto non è motivata l’applicabilità ad una Regione speciale di una norma del titolo V della parte seconda della Costituzione, ed in relazione all’art. 117, quinto comma, Cost., in quanto «l’Avvocatura non spiega in modo sufficiente perché le norme eccederebbero la competenza regionale».
Nel merito, la questione sarebbe infondata; infatti, stante l’incidenza delle norme impugnate su materie di competenza regionale, il carattere tecnico della direttiva non escluderebbe il potere delle Regioni di darvi attuazione.
Considerato in diritto
1. – Con ricorso notificato l’8 luglio 2005 e depositato il 14 luglio 2005, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 maggio 2005, n. 11 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione Friuli-Venezia Giulia derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Attuazione della direttiva 2001/42/CE, della direttiva 2003/4/CE e della direttiva 2003/78/CE. Legge comunitaria 2004), pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione n. 19 dell’11 maggio 2005, in riferimento agli artt. 4, 5 e 6 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), all’art. 117, primo comma, secondo comma, lettere r) e s), e quinto comma, della Costituzione, ed all’art. 16 della legge 4 febbraio 2005, n. 11 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari).
2. – Per quanto riguarda il Capo III della legge regionale impugnata, la questione è inammissibile.
2.1. – Nessun riferimento al suddetto Capo III compare nella deliberazione del Consiglio dei ministri del 24 giugno 2005, avente ad oggetto la determinazione del Governo di impugnare la legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 11 del 2005. Anche la relazione del Dipartimento per gli Affari regionali della Presidenza del Consiglio dei ministri, allegata alla deliberazione di cui sopra, prende in considerazione soltanto i Capi I e II della predetta legge e non fa menzione alcuna del Capo III.
3. – Il ricorrente censura innanzitutto l’intera legge regionale, per il fatto stesso di dare attuazione a tre direttive comunitarie incidenti su materie «aventi un carattere fortemente unitario», mentre il primo comma dell’art. 117 Cost. imporrebbe la necessità di una attuazione esclusivamente statale, proprio in ragione degli «interessi unitari che discendono dalla finalità della normativa comunitaria da recepire».
3.1. – La questione non è fondata.
A prescindere dal fatto che il ricorrente non motiva la richiesta di applicare una norma del titolo V della parte seconda della Costituzione ad una legge di una Regione a statuto speciale, bisogna ricordare che questa Corte ha già precisato che le esigenze unitarie poste a base di un eventuale accentramento nello Stato della competenza ad attuare una direttiva comunitaria – in deroga al quadro costituzionale interno di ripartizione della funzione legislativa – devono discendere con evidenza dalla stessa normativa comunitaria, sulla base di esigenze organizzative che ragionevolmente facciano capo all’Unione europea (sentenza n. 126 del 1996).
Nel caso di specie, la necessità di attuazione unitaria, da effettuarsi esclusivamente da parte dello Stato, non emerge da alcuna norma delle direttive in esame. Resta impregiudicato, pertanto, il quadro costituzionale di ripartizione delle competenze legislative, che non subisce nella fattispecie alcuna deroga ascrivibile a specifiche esigenze unitarie evidenziate dalla normativa comunitaria. In assenza di precise norme comunitarie che prescrivano l’accentramento – la cui legittimità, alla luce dell’ordinamento costituzionale interno, dovrebbe essere valutata caso per caso – il richiamo generico, fatto dal ricorrente, al primo comma dell’art. 117 Cost. – che si limita a prescrivere il rispetto, da parte delle leggi statali e regionali, dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario – è inconferente e si pone in contraddizione con il quinto comma del medesimo art. 117, che prevede esplicitamente la competenza delle Regioni e delle Province autonome all’attuazione degli atti dell’Unione europea nelle materie di loro competenza.
La legittimità dell’intervento legislativo di una Regione in funzione attuativa di una direttiva comunitaria dipende, per quanto detto sopra, dalla sua inerenza ad una materia attribuita alla potestà legislativa regionale. Lo scrutinio di costituzionalità deve essere pertanto basato sui commi secondo, terzo e quarto del citato art. 117 Cost., non già sul primo comma, come invece prospettato dalla difesa del ricorrente.
4. – Il Presidente del Consiglio censura in modo specifico il Capo I (artt. 2-12) della legge regionale impugnata per violazione degli artt. 4, 5 e 6 dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia e dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto le norme in esso contenute riguarderebbero una materia, la tutela dell’ambiente, che esula dalla competenza legislativa della Regione e rientra nella competenza esclusiva dello Stato. Le norme in parola sarebbero pure in contrasto con l’art. 117, quinto comma, Cost., in quanto, trattandosi di materia di competenza esclusiva dello Stato, non spetterebbe alla Regione provvedere all’attuazione della direttiva comunitaria.
4.1. – La questione non è fondata.
4.2. – La direttiva 2001/42/CE, in tema di valutazione ambientale strategica (VAS), ha «l’obiettivo di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente e di contribuire all’integrazione di considerazioni ambientali all’atto dell’elaborazione e dell’adozione di piani e programmi al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile, assicurando che […] venga effettuata la valutazione ambientale di determinati piani e programmi che possono avere effetti significativi sull’ambiente» (art. 1). Nel punto 4 del “considerando” della citata direttiva si precisa: «La valutazione ambientale costituisce un importante strumento per l’integrazione delle considerazioni di carattere ambientale nell’elaborazione e nell’adozione di taluni piani e programmi che possono avere effetti significativi sull’ambiente negli Stati membri, in quanto garantisce che gli effetti dell’attuazione dei piani e dei programmi in questione siano presi in considerazione durante la loro elaborazione e prima della loro adozione».
Come si evince da quanto sopra riportato, il legislatore comunitario pone più volte, nel testo della direttiva, l’accento sulla necessità di integrazione delle esigenze connesse alla tutela dell’ambiente. Tale principio trova espresso riconoscimento nell’art. 6 del Trattato 25 marzo 1957, che istituisce la Comunità europea.
In base all’art. 3 della direttiva, i piani e programmi per i quali deve essere effettuata la valutazione ambientale strategica sono quelli «a) che sono elaborati per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di riferimento per l’autorizzazione dei progetti elencati negli allegati I e II della direttiva 85/337/CEE o b) per i quali, in considerazione dei possibili effetti sui siti, si ritiene necessaria una valutazione ai sensi degli articoli 6 e 7 della direttiva 92/43/CEE». Secondo l’art. 4 della citata direttiva 2001/42/CE, la valutazione ambientale «deve essere effettuata durante la fase preparatoria del piano o del programma ed anteriormente alla sua adozione o all’avvio della relativa procedura legislativa». Inoltre, le condizioni stabilite nella suddetta norma comunitaria «sono integrate nelle procedure degli Stati membri per l’adozione dei piani e dei programmi o nelle procedure definite per conformarsi alla presente direttiva».
La valutazione ambientale strategica pervade ambiti materiali diversi. Ciò viene reso esplicito dal punto 9 del “considerando”, in cui si afferma che «la presente direttiva ha carattere procedurale e le sue disposizioni dovrebbero essere integrate nelle procedure esistenti negli Stati membri o incorporate in procedure specificamente stabilite. Gli Stati membri dovrebbero eventualmente tener conto del fatto che le valutazioni saranno effettuate a diversi livelli di una gerarchia di piani e di programmi, in modo da evitare duplicati».
4.3. – Di fronte al suindicato quadro normativo comunitario, si deve rilevare che il Capo I della legge regionale impugnata stabilisce: all’art. 2, che «le disposizioni contenute nel presente capo danno attuazione nel territorio della Regione Friuli-Venezia Giulia alla direttiva 2001/42/CE con riferimento alle materie di competenza regionale e nel rispetto dei principi generali desumibili dalla medesima, nonché dei principi e criteri direttivi generali contenuti nella normativa statale»; all’art. 3, comma 2, che «si considerano avere effetti significativi sull’ambiente i piani e i programmi elaborati per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli […]»; all’art. 12, che «Le disposizioni contenute nel presente capo e nei regolamenti attuativi sono adeguate agli eventuali principi generali successivamente individuati dallo Stato nelle proprie materie di competenza esclusiva e concorrente di cui all’art. 117, commi 2 e 3, della Costituzione» e che «gli atti normativi statali di cui al comma 1 si applicano in luogo delle disposizioni regionali in contrasto, sino all’entrata in vigore della normativa regionale di adeguamento».
4.4. – Da quanto detto si deduce che la valutazione ambientale strategica, disciplinata dalla direttiva 2001/42/CE, attiene alla materia «tutela dell’ambiente». Da tale constatazione non deriva tuttavia la conseguenza che ogni competenza regionale sia esclusa. Questa Corte ha più volte sottolineato la peculiarità della materia in esame, ponendo in rilievo la sua intrinseca “trasversalità”, con la conseguenza che, in ordine alla stessa, «si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale» (sentenza n. 407 del 2002), e che «la competenza esclusiva dello Stato non è incompatibile con interventi specifici del legislatore regionale che si attengano alle proprie competenze» (sentenza n. 259 del 2004).
La “trasversalità” della materia «tutela dell’ambiente» emerge, con particolare evidenza, con riguardo alla valutazione ambientale strategica, che abbraccia anche settori di sicura competenza regionale. Posto ciò, dall’esame del Capo I della legge impugnata non vengono in rilievo norme destinate ad incidere in campi di disciplina riservati allo Stato. A questa conclusione contribuiscono anche due clausole – contenute nei sopra ricordati artt. 2 e 12 – in base alle quali la legislazione regionale si adegua ai principi e criteri generali della legislazione statale anche successiva, mentre, nell’ipotesi di norme regionali in contrasto, le stesse vengono automaticamente sostituite, nell’applicazione concreta, dalle norme statali, sino a quando la Regione non provveda ad emanare leggi di adeguamento.
In definitiva, la Regione, tramite il Capo I della legge impugnata, da una parte, circoscrive l’attuazione da essa data alla direttiva 2001/42/CE alle sole materie di propria competenza, e, dall’altra, si impegna a rispettare i principi e criteri generali della legislazione statale e ad adeguare progressivamente a questi ultimi la propria normativa.
Non risultano pertanto violati né gli artt. 4, 5 e 6 dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia né l’art. 117, secondo e quinto comma, Cost., specularmene evocati dal ricorrente, il quale pure ha omesso specifiche considerazioni sull’applicabilità del titolo V della parte seconda della Costituzione ad una Regione ad autonomia differenziata.
5. – Un’ulteriore censura riguarda il Capo II (artt. 13-15) della legge regionale impugnata, che attua la direttiva 2003/4/CE sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale, per violazione: degli artt. 4, 5 e 6 dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, e dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto la normativa impugnata riguarderebbe una materia, la tutela dell’ambiente, che esula dalla competenza legislativa regionale ed appartiene invece alla competenza esclusiva dello Stato; dell’art. 117, secondo comma, lettera r), Cost., in quanto, trattandosi dell’accesso del pubblico all’informazione ambientale, la normativa impugnata riguarderebbe una materia “contigua” al «coordinamento informativo statistico ed informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale», di competenza esclusiva dello Stato; dell’art. 117, quinto comma, Cost., in quanto, trattandosi di materia di competenza esclusiva dello Stato, non spetterebbe alla Regione provvedere all’attuazione della direttiva comunitaria.
5.1. – La questione non è fondata.
5.2. – Con riferimento alle norme statutarie evocate dal ricorrente ed alle norme speculari di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), e quinto comma, Cost., si deve osservare che l’oggetto delle norme impugnate non è la tutela dell’ambiente, ma la tutela del diritto dei cittadini ad accedere alle informazioni ambientali. Si tratta di un aspetto specifico della più generale tematica del diritto di accesso del pubblico ai dati ed ai documenti in possesso delle pubbliche amministrazioni. L’art. 22, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), modificata dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15 (Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa), dopo aver stabilito che l’accesso ai documenti amministrativi costituisce principio generale dell’attività amministrativa ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., precisa: «Resta ferma la potestà delle regioni e degli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela». L’art. 29, comma 2, della medesima legge aggiunge: «Le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla presente legge».
Il Capo II della legge regionale impugnata si attiene ai limiti tracciati dalla legislazione statale in materia di diritto di accesso del pubblico alle informazioni, prevedendo specifiche norme sull’informazione ambientale, che non sono rivolte, pertanto, alla tutela dell’ambiente, ma ad una migliore conoscenza, da parte dei cittadini, dei problemi ambientali concreti. Ciò è confermato dall’art. 14, comma 2, della legge regionale impugnata, il quale prevede che «il diritto di accesso all’informazione ambientale è esercitato nei confronti dell’amministrazione regionale e degli enti regionali secondo le modalità stabilite dagli articoli 58 e seguenti della legge regionale n. 7 del 2000». Il primo comma del medesimo articolo, che si riferisce al «diritto di accesso all’informazione ambientale in possesso delle amministrazione pubbliche», deve essere interpretato alla luce del citato comma 2, escludendosi pertanto che la Regione possa legiferare in merito all’accesso ad atti, documenti o notizie in possesso di amministrazioni statali.
5.3. – Il parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera r), Cost. – la cui applicazione ad una Regione a statuto speciale non è peraltro motivata dal ricorrente – è inconferente rispetto al presente giudizio, giacché riguarda l’attività di coordinamento informativo e informatico, che serve ad «assicurare una comunanza di linguaggi, di procedure e di standard omogenei, in modo da permettere la comunicabilità tra i sistemi informatici della pubblica amministrazione» (sentenza n. 17 del 2004). Nulla a che vedere, quindi, con le norme che disciplinano l’accesso dei cittadini all’informazione ambientale.
6. – Le considerazioni svolte sull’infondatezza delle diverse censure della legge regionale impugnata, avanzate dal ricorrente con riferimento a norme di rango costituzionali, valgono a motivare la non fondatezza delle stesse con riferimento all’art. 16 della legge statale n. 11 del 2005, quale norma interposta.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale del Capo III della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 maggio 2005, n. 11 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione Friuli-Venezia Giulia derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Attuazione della direttiva 2001/42/CE, della direttiva 2003/4/CE e della direttiva 2003/78/CE. Legge comunitaria 2004), promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso citato in epigrafe, in riferimento all’art. 117, primo e quinto comma, della Costituzione, ed all’art. 16 della legge 4 febbraio 2005, n. 11 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari);
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del Capo I della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 11 del 2005, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso citato in epigrafe, in riferimento agli artt. 4, 5 e 6 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), all’art. 117, primo comma, secondo comma, lettera s), e quinto comma, Cost., ed all’art. 16 della legge n. 11 del 2005;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del Capo II della medesima legge regionale promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso citato in epigrafe, in riferimento agli artt. 4, 5 e 6 della legge cost. n. 1 del 1963 ed all’art. 117, primo comma, secondo comma, lettere r) e s), e quinto comma, Cost.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 novembre 2006.
Franco BILE, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Depositata in Cancelleria l’1 dicembre 2006.