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Cassazione Penale, sez. III, 16 settembre 2005 n. 33735

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
III SEZIONE PENALE

FATTO E DIRITTO
La “VODAFONE OMNITEL N.V.”, dopo avere individuato, nel territorio di Marcianise, una porzione di terreno ritenuta idonea all’installazione di un impianto radio base di telefonia mobile, trasmetteva al quel Comune, in data 12.5.2004, il relativo progetto e la denuncia di inizio dell’attività prevista dall’art. 87, 3^ comma – ultima parte, del d. lgs. 1.8.2003, n. 259 per la realizzazione di impianti “con potenza in singola antenna uguale o inferiore ai 20 watt”.
Il Comune di Marcianise, con nota del 24.5.2004, dichiarava sospesa la richiesta, comunicando che era stata predisposta una proposta di regolamento comunale per la disciplina delle installazioni e la modifica degli impianti radioelettrici da sottoporre all’esame del Consiglio comunale.
Il TAR della Campania, frattanto, accogliendo un’impugnazione proposta dalla società “Vodafone” per altro sito ma con identico oggetto, argomentava che “anche se la pianificazione del territorio spetta agli enti locali, non si può far dipendere la realizzazione degli impianti da un espresso intervento pianificatorio dei Comuni, in quanto ciò costituirebbe un serio ostacolo alla realizzazione della rete, considerato anche che le imprese resterebbero sostanzialmente prive di strumenti di tutela, essendo molto difficile esercitare l’azione attraverso l’inerzia della P.A. in assenza di una norma che imponga tale pianificazione entro termini precisi”.
In seguito a tale pronuncia la società “Vodafone” comunicava al Comune di Marcianise la ripresa dei lavori.
In data 18.2.2005 ufficiali di polizia municipale sottoponevano l’impianto a sequestro, ai sensi dell’art. 321, 3° comma, c.p.p., ipotizzando la violazione degli articoli 31 e 44 del DPR n. 380/2001.
Il GIP del Tribunale di S. Maria Capua Vetere, con provvedimento del 23.2.2005, convalidava l’atto di polizia giudiziaria ed emetteva autonomo decreto di sequestro preventivo.
La società “Vodafone” proponeva istanza di riesame, deducendo la legittimità della installazione della stazione radio base per essere state rispettate le norme regolanti la materia come rinvenibili nel d. lgs. n. 259/2003.
Prospettava, in particolare, la società che la realizzazione di torri, di tralicci, di impianti radio trasmittenti, di ripetitori di servizi di comunicazione elettronica e di stazioni radio base, essendo disciplinata dal d. lgs. n. 259/2003 (Codice delle Comunicazioni Elettroniche), deve ritenersi sottratta alla disciplina posta dal T.U. dell’Edilizia (n.380/2001), ponendosi il Codice delle comunicazioni elettroniche in rapporto di specialità con detto testo unico.
Il Tribunale di S. Maria Capua Vetere, con ordinanza del 24.3.2005, respingeva l’istanza di riesame, disconoscendo il prospettato rapporto di specialità per essere diversi i campi di applicazione dei due testi normativi, in quanto il T.U. dell’edilizia attiene al controllo di compatibilità delle nuove costruzioni con il territorio ed il d. lgs. sulle comunicazioni elettroniche, invece, al controllo dell’inquinamento elettromagnetico e del rispetto dei limiti di emissione.
Il Tribunale – premesso che l’impianto in oggetto si identifica in “un’antenna di altezza di circa 30 metri che consta di un pilone in ferro saldamente ancorato al suolo su una piattaforma in cemento armato con una cabina per alloggio strumenti” – evidenziava, in particolare, che: - manca nel testo del d. lgs. n. 259/2003 una deroga espressa al T.U. n. 380/2001; - sarebbe irragionevole considerare che la realizzazione di antenne aventi altezze superiori a 20 o 30 metri possa essere sottratta al controllo dell’ente territoriale attraverso il rilascio di un titolo abilitativi finalizzato alla verifica della compatibilità delle nuove costruzioni con il territorio; - l’autorizzazione prevista dall’art. 87 del d. lgs. non ha efficacia sostitutiva rispetto al permesso di costruire, in considerazione dei diversi ambiti di tutela; - quando il legislatore del 2003 ha voluto interferire sulla disciplina edilizia lo ha chiaramente espresso. E’ il caso della realizzazione di impianti di potenza inferiore ai 20 Watt, per la cui realizzazione è prevista la mera dichiarazione di inizio attività che, solo in questo caso specifico, si sovrappone al permesso di costruire, escludendolo dall’iter procedimentale.
Avverso l’anzidetta ordinanza ha proposto ricorso la società “Vodafone Omnitel N.V.”, in persona del direttore affari pubblici e legali dr. Bianca Maria Martinelli, quale procuratore speciale dell’amministratore delegato.
Con i motivi di gravame viene eccepito:
- l’erronea applicazione del d. lgs. n. 259/2003 e del T.U. n. 380/2001;
- vizio di motivazione su un punto decisivo della questione, avendo il Tribunale omesso di considerare che l’antenna radio base installata nel territorio del Comune di Marcianise è di potenza inferiore ai 20 Watt;
- carenza assoluta di motivazione del provvedimento di sequestro preventivo emesso dal GIP, che non consentirebbe il corretto esercizio del potere-dovere di controllo da parte del Tribunale, il quale non potrebbe colmare la lacuna adottando proprie ed originarie motivazioni.
I difensori della società ricorrente hanno depositato poi, in data 1.7.2005, ampia memoria, con annessa documentazione.
Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
1. La fondamentale questione di diritto sottoposta all’esame del Collegio attiene al rapporto tra le discipline poste:
a) dal d. lgs. 1.8.2003 n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), che : - all’art. 87, subordina l’installazione di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche mobili GSM/UMTS al rilascio di apposita autorizzazione dell’ente locale territorialmente interessato; - all’art. 86, comma 3, assimila “le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione di cui agli artt. 87 e 88 … ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria”, prevedendo che “ad esse si applica la normativa vigente in materia”;
b) dal DPR 6.6.2001, n. 380 (Testo unico dell’edilizia), che, all’art. 3, lett. e), ricomprende espressamente tra gli “interventi di nuova costruzione, come tali assoggettati a permesso di costruire ai sensi del successivo art. 10, “gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal Comune” (e.2), nonché “l’installazione di torri e tralicci per impianti radio ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione” (e.4).
Deve valutarsi, in particolare, se l’autorizzazione prescritta dal Codice delle comunicazioni sia sufficiente a consentire, anche sotto il profilo urbanistico-edilizio, l’installazione di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche mobili, ovvero sussista la necessità di autonomo titolo abilitativi, secondo le procedure previste e disciplinate dal T.U. n. 380/2001.
2. Sulla questione – che coinvolge problematiche che attengono sia all’assetto e allo sviluppo del territorio sia a fattori di inquinamento ambientale riflettentisi sulla salvaguardia della salute e dell’integrità fisica dei cittadini – sono state formulate, in giurisprudenza e in dottrina, tesi contrapposte.
La materia è stata in precedenza disciplinata dal d. lgs. 4.9.2002, n. 198 ( cd. decreto Gasparri), il cui art. 3 conteneva una “clausola di esclusività”, laddove stabiliva, al 1° comma, che “le categorie di infrastrutture di comunicazioni … sono opere … realizzabili esclusivamente sulla base delle procedure definite dal presente decreto”.
La stessa norma, del resto, stabiliva (al comma 2) che le installazioni in questione dovessero ritenersi “compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica” (sicché non si poneva la necessità di alcuna verifica in concreto della compatibilità) e fossero realizzabili anche “in deroga” agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione regolamentare, con eccezione prevista solo per alcuni manufatti di particolare consistenza, quali torri e tralicci, relativi alle reti di televisione digitale terrestre. Questa Corte Suprema, pertanto, aveva affermato che, dopo l’entrata in vigore del d. lgs. n. 198/2002, l’installazione di impianti per telefonia cellulare non necessitava più della preventiva concessione edilizia (così Cass. Sez. III, 29.4.2003, n. 19795, PM in proc. Minervini; 6.5.2003, n. 20218, Cassisa).
La Corte Costituzionale, però, con la sentenza n. 303 dell’1.10.2003, ha dichiarato l’incostituzionalità del d. lgs. n.198/2002, per eccesso di delega in rapporto alla legge n. 443/2001.
Lo stesso Giudice delle leggi, inoltre, con la sentenza n. 307 del 7.10.2003, ha ribadito i parametri del riparto di competenze operanti nella disciplina del settore, rilevando che rientra nella competenza esclusiva dello Stato la determinazione degli standards di protezione dall’inquinamento elettromagnetico, sotto il profilo della determinazione di valori-soglia non derogabili dalle Regioni, mentre è materia di legislazione concorrente il trasporto dell’energia e l’ordinamento della comunicazione. E’ rimessa, infine, alle Regioni e agli enti territoriali territorio, perché le relative previsioni di pianificazione non siano tali “da impedire o da ostacolare ingiustificatamente l’insediamento degli impianti stessi”.
Deve altresì ricordarsi, in proposito, che la legge 22.2.2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici) affida agli enti locali minori la determinazione di criteri di localizzazione ottimale degli impianti in oggetto, con finalità di massima restrizione dell’inquinamento elettromagnetico ma anche di “corretto insediamento urbanistico e territoriale” degli impianti stessi.
E’ intervenuto, quindi, il d. lgs. 1.8.2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), che – all’art. 87 – prevede il rilascio di un’autorizzazione unitaria da parte dell’ente comunale con l’intervento, però, anche delle Amministrazioni portatrici degli altri interessi pubblici coinvolti.
2.1 Secondo un orientamento interpretativo (condiviso dal TAR Veneto, sez. II, 8.1.2004, n. 1), anche a fronte delle disposizioni introdotte dal Codice delle comunicazioni elettroniche, persisterebbe la necessità di un distinto ed autonomo titolo abilitativi edilizia e ciò essenzialmente perché:
- l’art. 86 del d. lgs. N. 259/2003 assimila espressamente (come si è detto dianzi) le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui ai successivi artt. 87 e 88, alle opere di urbanizzazione primaria, alle quali deve applicarsi “la normativa vigente in materia” e, quindi, anche l’art. 3 del T.U. n. 380/2001;
- lo stesso d. lgs. n. 259/2003 (a differenza del d. lgs. n. 198/2002) non contiene una “clausola di esclusività”, rivolta a consentire la realizzabilità delle infrastrutture in esso contemplate sulla sola base delle procedure definite dallo stesso Codice; esso non contiene, inoltre, previsioni modificatrici del T.U. dell’edilizia.
2.2. Esclusa la teoria più radicale, secondo la quale la verifica edilizia dovrebbe considerarsi superflua, stante la mancata menzione espresso dei profili edilizi nel Codice delle comunicazioni, un altro orientamento, assolutamente prevalente nella giurisprudenza amministrativa, riconosce invece (sia pure con argomentazioni non sempre coincidenti) carattere omnicomprensivo all’autorizzazione prevista dal d. lgs. n. 259/2003, esteso a tutti i profili connessi alla realizzazione e all’attivazione degli impianti di telefonia cellulare, inclusi quelli urbanistici ed edilizi (vedi, ad esempio, TAR Puglia, Bari, sez. III, 13.5.2005, n. 2143; TAR Veneto, Sez. II, 13.9.2004, n. 3295; TAR Veneto, sez. II, 30.7.2004, n. 2579; TAR Puglia, Bari, sez. III, 22.7.2004, n. 3217; TAR Piemonte, sez. I, 23.6.2004, n. 1176; TAR Lazio, Roma, sez. II bis, 20.5.2004, n. 2794; TAR Lombardia, Milano, sez. I, 19.5.2004, n. 1353; TAR Campania, Napoli, sez. I, 5.4.2004, n. 4043; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 30.1.2004, n. 169).
3. Tale orientamento – fatto proprio dal Consiglio di Stato, sez. VI, con le recenti decisioni 11.1.2005, n. 100 e 22.10.2004, n. 6910 (dopo le contrarie decisioni 26.9.2003, n. 5502 e 18.5.2004, n. 3193) viene condiviso da questo Collegio sulla base delle seguenti considerazioni (in senso contrario vedi Cass. Sez. III, 1.12.2003, n. 46172, ove si omette, però, di valutare la normativa introdotta dal d. lgs. n. 259/2003):
3.1 Il procedimento di autorizzazione disciplinato dal d. lgs. n. 259/2003 risulta finalizzato all’esigenza di semplificazione e concentrazione dei procedimenti amministrativi, per la salvaguardia della tempestività degli stessi, in attuazione dei principi comunitari imposti dalle direttive 2002/19/CE, 2002/20/CE, 2002/21/CE e 2002/22/CE, recepite e ribadite nell’ordinamento italiano dall’art. 41 della legge 1.10.2002, n. 166, che è la legge delega in base alla quale è stato emanato il d. lgs. n. 259/2003.
Detto art. 41 richiama espressamente, ove compatibili, anche “i principi della legge 21.12.2001, n. 443”, tra i quali è ricompressa la “definizione delle procedure da seguire in sostituzione di quelle previste per il rilascio dei provvedimenti concessori o autorizzatori di ogni specie”.
Tutti i principi anzidetti ed i criteri di delega fissati dalla legge n. 166/2002 (previsione di procedure tempestive per la concessione del diritto di installazione, riduzione dei termini per la conclusione dei relativi procedimenti amministrativi; regolazione uniforme dei medesimi procedimenti) – ribaditi dall’art. 4 del d. lgs. n. 259/2003 – resterebbero vanificati qualora al procedimento di autorizzazione disciplinato dal d. lgs. n. 259/2003 dovesse aggiungersi quello previsto dal T.U. dell’edilizia, peraltro non coordinato sotto il profilo temporale.
3.2. La procedura delineata dall’art. 87 del d. lgs. n. 259/2003 ben si concilia con la valutazione anche della compatibilità urbanistico-edilizia dell’intervento, in quanto:
- può essere finalizzata ad approfondire tali aspetti la previsione del 5° comma, secondo la quale il responsabile del procedimento può richiedere, per una sola volta, entro 15 giorni dalla ricezione dell’istanza, l’integrazione della documentazione prodotta;
- i commi 6 e 7 prevedono il ricorso ad una “conferenza di servizi”, che deve essere convocata dal responsabile del procedimento in caso di motivato dissenso espresso da un’Amministrazione interessata e l’approvazione intervenuta all’esito della conferenza, adottata a maggioranza dei presenti, “sostituisce ad ogni effetto gli atti di competenza delle singole Amministrazioni e vale altresì come dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori”.
L’individuazione di un’autorizzazione unitaria, rilasciata dal Comune con l’intervento delle Amministrazioni portatrici degli altri interessi coinvolti, porta razionalmente a ritenere che nel procedimento di autorizzazione debbano confluire tutti i procedimenti, in precedenza autonomi, necessari per la compiuta valutazione degli interessi sottesi all’atto che autorizza già la “installazione”, e non la sola attivazione, dell’impianto (una particolare disciplina è comunque prevista nel caso di motivato dissenso espresso da un’Amministrazione preposta alla tutela ambientale, alla tutela della salute o alla tutela del patrimonio storico-artistico).
Le singole valutazioni, che in precedenza erano autonome, non sono eliminate ma unificate sul piano procedimentale e di esse deve essere dato conto in sede di motivazione del provvedimento finale.
Giova evidenziare, inoltre, che il comma 10 dell’art. 87 del d. lgs. n. 259/2003 dispone che “le opere debbono essere realizzate, a pena di decadenza, nel termine perentorio di dodici mesi dalla ricezione del provvedimento autorizzatorio espresso ovvero dalla formazione del silenzio assenso”.
Tale disposizione risulterebbe del tutto incompatibile con l’affermazione della necessità del permesso di costruire, che potrebbe intervenire in un tempo successivo ed al quale la legge (art. 15 del T.U. n. 380/2001) connette la previsione di un termine diverso per la conclusione dei lavori.
Deve ancora precisarsi che la denunzia di inizio dell’attività, prevista dall’art. 87, 3° comma – ultima parte, del d. lgs. n. 259/2003 per la realizzazione di impianti “con potenza in singola antenna uguale od inferiore ai 20 Watt”, non è quella disciplinata dagli artt. 22 e 23 del T.U. n. 380/2001, ma va ricondotta al modello generale di cui all’art. 19 della legge 241/1990, come modificato, da ultimo, dall’art. 3, comma 1, del d.l. 14.3.2005, n. 35, convertito nella legge 14.5.2005, n.80.
Nel relativo procedimento, tuttavia, dovranno essere pur sempre valutati i profili urbanistico-edilizi del realizzando intervento.
3.3 In una situazione siffatta non può riconoscersi, allora, rilevanza assorbente alla mancata riproduzione, nel testo del d. lgs. n. 259/2003, di una “clausola di esclusività”.
E’ vero, altresì, che l’art. 41, comma 2, lett. d) della legge delega n. 166/2002 impone formalmente la “abrogazione espressa” di tutte le normative incompatibili.
L’art. 87 del d. lgs. n. 259/2003, però, non esclude che gli impianti in esso previsti debbano considerarsi “nuova costruzione”, ai sensi dell’art. 3 (lettere e.2 ed e.4) del T.U. n. 380/2001e pone una deroga esclusivamente procedimentale alle generali previsioni dell’art. 10 dello stesso T.U., in quanto non mette in discussione la necessità di una valutazione dell’intervento alla stregua della vigente normativa urbanistico-edilizia e della prescrizioni degli strumenti di pianificazione.
3.4 Non appaiono così violati i principi fondamentali in materia urbanistico-edilizia secondo i quali (vedi la sentenza n. 303/2003 della Corte Costituzionale):
- la legislazione regionale e le funzioni amministrative, in detta materia, non devono risultare inutilmente gravose per gli amministrati e devono essere dirette a semplificare le procedure e ad evitare la duplicazione di valutazioni sostanzialmente già effettuate dalla pubblica Amministrazione;
- nella disciplina dei titoli abilitativi per l’edificazione deve ritenersi necessaria la compresenza di titoli abilitativi preventivi ed espressi (la concessione, il permesso di costruire, l’autorizzazione) e di procedure di semplificazione, quale è la D.I.A. (configurata quest’ultima come mera denuncia legittimante per interventi edilizi puntualmente identificati dalla legge), libero il legislatore regionale di ampliarne o ridurne l’ambito applicativo.
Né la sostituibilità del permesso di costruire con la decisione finale assunta in sede di conferenza dei servizi è principio nuovo nel nostro ordinamento, allorché si consideri che il 9° comma dell’art. 14 ter della legge n. 241/1990, dopo le modifiche apportate dalla legge n. 340/2000, disponeva espressamente – con previsione generale – che “il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva favorevole della conferenza di servizi sostituisce a tutti gli effetti ogni autorizzazione, concessione, nulla-osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare, alla predetta conferenza”. [La disposizione, attualmente, dopo le più recenti modifiche apportate dalla legge 11.2.2005, n. 15, è formulata nel senso che “il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva, nulla-osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza”].
Qualche perplessità può derivare dalla previsione dell’assentimento del silenzio, di cui al comma 9 dell’art. 87 (ed al comma 7 dell’art. 88) del d. lgs. n. 259/2003; trattasi comunque di istituto procedimentale non definitivamente espunto dalla normativa edilizia, dal momento che l’abrogazione del silenzio-assenso (connessa alle disposizioni della legge n. 662/1996 e del T.U. n. 380/2001) non ha comportato l’abrogazione automatica delle vigenti normative che disciplinano tale istituto nelle Regioni a statuto ordinario (per quelle a statuto speciale e per le Province autonome non sussiste obbligo di adeguamento: vedi Corte Cost. sentenza n. 241/1997) e che la legislazione statale tuttora lo prevede nella disciplina dei provvedimenti di c.d. “condono” (anche in relazione a tale profilo il TAR Lazio, con ordinanza del 16.12.2004, ha rimesso al vaglio della Corte Costituzionale la questione di legittimità degli artt. 87 e 88).
4. Deve concludersi, allora, che il provvedimento autorizzatorio e la procedura di denunzia di inizio dell’attività previsti dall’art. 87 del d. lgs. 1.8.2003, n. 259, per l’autorizzazione all’installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici, hanno come contenuto imprescindibile anche la verifica della compatibilità urbanistico-edilizia dell’intervento e non è richiesta, pertanto, la necessità di un distinto titolo abilitativo a fini edilizi.
Alla stregua del principio appena enunciato la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha presentato, in data 4.5.2005, ricorso nei confronti della Regione Veneto, per la dichiarazione (tra l’altro) dell’illegittimità costituzionale dell’art. 14 della legge regionale n. 8 del 25.2.2005, che disciplina il procedimento di autorizzazione all’installazione, modifica ed adeguamento degli impianti di telefonia mobile, prevedendo, che per l’autorizzazione di detti impianti, il richiedente debba aggiungere al provvedimento previsto dall’art. 87 del Codice delle comunicazioni elettroniche anche l’ulteriore rilascio del permesso di costruire ai sensi degli artt. 3 e 10 del T.U. dell’edilizia.
Secondo la Presidenza del Consiglio tale disposizione, determinando un aggravio delle procedure per l’installazione dei citati impianti fissi di telefonia mobile, si porrebbe in contrasto con i principi fondamentali in materia di “ordinamento della comunicazione”, in violazione dell’art. 117, comma 3, della Costituzione, dovendo considerarsi principi fondamentali di tale materia, come tali vincolanti la potestà legislativa regionale, le norme contenute nell’art. 41 della legge delega n. 166/2002 e nell’art. 4 dello stesso Codice delle comunicazioni, che promuovono la semplificazione e la tempestività dei provvedimenti autorizzatori e considerato anche la disciplina delle comunicazioni avrebbe assorbito a tutti gli effetti la precedente disciplina edilizia interferente sulla materia (art. 3, comma 1, lett. e, del T.U. sull’edilizia)
5. Non resta influenzato, in ogni caso, il regime autorizzatorio penale di cui all’art. 44 del T.U. n. 380/2001 e le infrastrutture di comunicazione elettronica specificate al comma 1 dell’art. 87 del d. lgs. n. 259/2003 restano sottoposte, pur sempre, alle sanzioni penali specifiche delle opere soggette a permesso di costruire.
Le disposizioni dell’art. 44 del T.U. n. 380/2001 si applicano altresì agli impianti “con potenza in singola antenna uguale o inferiore ai 20 Watt” (di cui al comma 3, ultima parte, del medesimo art. 87) – suscettibili di realizzazione mediante denunzia di inizio attività ai sensi dell’art. 19 della legge n. 241/1990, come successivamente modificato- allorché questi siano eseguiti in assenza o in difformità della denunzia medesima.
Il mutamento di disciplina per l’abilitazione all’intervento edilizio non incide, infatti, sulla disciplina sanzionatoria penale, che non viene correlata alla tipologia del titolo abilitativo, bensì alla consistenza concreta dell’intervento.
6. L’ordinanza impugnata, per tutte le argomentazioni dianzi svolte, deve essere annullata, con rinvio al Tribunale di S. Maria Capua Vetere, il quale – nella nuova delibazione – si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati, previa individuazione delle effettive caratteristiche tecniche della stazione radio base in oggetto, che, secondo l’assunto difensivo, avrebbe (come da progetto depositato) potenza inferiore ai 20 Watt.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione,
visti gli artt. 607, 127 e 325 c.p.p.,
annulla l’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di S. Maria Capua Vetere.
Così deliberato in Roma, nella camera di consiglio dell’8.7.2005