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Cassazione Penale, sez. IV, 12 gennaio 2005 (pubblicata il 05 aprile 2005)  n. 12577

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
V SEZIONE PENALE

FATTO E DIRITTO
xxxx xxxx ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Milano in composizione monocratica, emessa, ex art. 444 c.p.p., il 14 febbraio 2003, con la quale era applicata la sanzione pecuniaria di euro 4648,00 ed ordinata la demolizione delle opere abusive.
Al xxxx erano stati contestati, unificati sotto il vincolo della continuazione, i reati di costruzione abusiva in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale, in assenza delle prescritte autorizzazioni ( ax artt. 20, lett. c, l. 28.2.1985, n. 47, 151 e segg. D. lgs. n. 490/99, 13 e segg. L. 394/1991) e di furto aggravato di acqua potabile, fatti commessi in Milano nel gennaio 2001.
Il giudicante aveva rigettato la richiesta di proscioglimento formulata dalla difesa sull’assunto della intervenuta abrogazione della normativa previgente in tema di illeciti edilizi a seguito dell’entrata in vigore del DPR 380/2001, facendo riferimento all’orientamento espresso da questa Corte con sentenza n. 19378/2002.
A fondamento del ricorso il xxxx denuncia con un unico articolato motivo la violazione di legge, con specifico riferimento all’art. 2, comma 2, c.p. e 137, comma 2, lett. f, DPR 6 giugno 2001 n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), sostenendo, in conformità ad un orientamento giurisprudenziale di merito (Trib. Ivrea 3.7.2002, in Guida al diritto, fasc. I del 2003, pag. 88), che per i fatti precedenti al 1° gennaio 2002, dopo l’entrata in vigore del DPR n. 380/2001, in assenza di una disciplina ponte che ripristinasse espressamente l’efficacia della normativa abrogata, avrebbe dovuto essere pronunciata sentenza di assoluzione perché il fatto non era più previsto dalla legge come reato.
Tale effetto caducatorio avrebbe dovuto trovare applicazione, in virtù del principio di legalità, anche per la sanzione amministrativa dell’ordine di demolizione.
Propone, inoltre, un’ulteriore doglianza relativa alla continuità normativa dell’illecito, affermando che la disciplina sanzionatoria del T.U. attiene ad opere costruite in assenza o difformità dell’atto amministrativo, il permesso di costruire, i cui presupposti si ispirano a principi generali non immediatamente ed integralmente sovrapponibili al preesistente assetto autorizzativo, cui invece si correlavano le contestazioni mossegli.
Nelle more del giudizio fissato in data 20.1.2004, il ricorrente ha formulato istanza di sospensione del procedimento ai sensi della norma sopravvenuta (art. 32, comma 25, dl 30 settembre 2003, n. 269, convertito in l. 24 novembre 2003, n. 326) ed ha documentato la presentazione della domanda in sanatoria.
Con ordinanza in data 20.1.2004 questa Corte, stante la particolare importanza ed opinabilità della questione ha rimesso gli atti alle Sezioni Unite perché fosse data risposta al duplice quesito: a) se la sopravvenuta e documentata presentazione da parte del ricorrente della domanda di definizione dell’illecito edilizio comporti la sospensione di diritto del procedimento penale con la correlata sospensione dei termini prescrizionali del reato ovvero il mero rinvio dello stesso; b) se, in caso di risposta affermativa, la sospensione del procedimento riguardi solo i reati edilizi o si estenda anche ai reati connessi.
Il Presidente della Corte, con ordinanza in data 24 marzo 2004, ritenuto che sui quesiti proposti era già intervenuta giurisprudenza di questa Corte e con sul punto non erano state fornite ragioni che potessero giustificare soluzioni diverse, tali da poter dare origine ad un nuovo contrasto giurisprudenziale, disponeva la restituzione degli atti a questa sezione.
Con ordinanza in camera di consiglio del 24.5.2004, questa Corte rilevato che la sospensione del processo aveva luogo di diritto e che riguardava anche i reati per i quali si era proceduto unitariamente qualora, come nel caso di specie, fossero stati ritenuti in continuazione, disponeva la sospensione del procedimento fino alla data dell’udienza di trattazione del ricorso, da tenersi in data successiva al 31.7.2004, termine ultimo per l’eventuale presentazione della domanda di rilascio del permesso di costruzione in sanatoria a seguito del condono edilizio.
E’ stata fissata, quindi, per la data odierna l’udienza di trattazione.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Nella vicenda che ci occupa, si verte, in vero, in ipotesi di opere abusive non suscettibili di sanatoria.
Ciò in quanto non sono suscettibili di sanatoria (cosiddetto condono edilizio), ai sensi dell’articolo 32 del dl 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla l. 24 novembre 2003, n. 326 (e quindi, va soggiunto, non è consentito applicare la sospensione del procedimento penale, ai sensi dell’articolo 44 della l. 28 febbraio 1985 n. 47, in attesa dell’eventuale definizione della relativa procedura amministrativa), allorché si verta in ipotesi di nuova costruzione realizzata, in assenza del titolo abilitativo edilizio, in area assoggettata a vincolo imposto a tutela degli interessi paesistici: trattasi, infatti, di ipotesi esclusa dal condono dal comma 26, lettera a), dell’articolo 32 citato.
Manifestamente infondata è, ancora, la prospettazione di inesistenza del reato di cui all’art. 20, lett. b), l. 47/85 in relazione alla breve vigenza del T.U. n. 380/2001 dall’1° al 9 gennaio 2002, secondo un orientamento interpretativo consolidatamente espresso da questa Corte (cfr. ex pluribus Cass. Sez. III, 20 settembre 2002, Ameli e altro) ed anche recentemente ribadito: a seguito dell’articolo 5 bis del dl 23 novembre 2001 n. 411, convertito, con modificazioni, in l. 31 dicembre 2001 n. 463, che ha prorogato il termine di entrata in vigore del DPR 6 giugno 2001 n. 380, che già aveva avuto un periodo di vigenza dal 1° al 9 gennaio 2002, non vi è stato alcun temporaneo vuoto normativo in materia edilizia, giacché detta proroga dell’entrata in vigore ha determinato anche la sospensione dell’efficacia dell’articolo 136 del DPR n. 380/2001, contenente l’abrogazione dell’articolo 20 della l. 28 febbraio 1985 n. 47; con la conseguenza che tale ultima norma è rimasta in vigore, medio tempore (dal 10 gennaio 2002 fino all’entrata in vigore del DPR n. 380/2001, poi definitivamente avvenuta, dal 30 giugno 2003, per effetto dell’articolo 2 del dl 20 giugno 2002 n. 122, convertito in l. 1° agosto 2002, n. 185), derivandone la perdurante punibilità dei fatti commessi sotto la sua vigenza. A ciò dovendosi aggiungere la sussistenza della continuità ed omogeneità normativa – a fronte dell’identità di formulazione e per la palese omogeneità strutturale – tra le previgenti fattispecie penali di cui all’articolo 20 della l. n. 47/85 e quelle, oggi in vigore, disciplinate dall’articolo 44 del DPR n. 380/2001 (Cass., Sez. III, 8 ottobre 2004, Ascone, la quale, quindi, proprio da tali premesse, ha ritenuto manifestamente infondato il motivo di ricorso con il quale si pretendeva che, a seguito dell’entrata in vigore del DPR n. 380/2001, non potessero considerarsi più previsti come reato i fatti già incriminati ex articolo 20 della l. n. 47/85).
Neppure può trovare accoglimento l’ulteriore considerazione svolta dalla difesa del ricorrente, che ha sostenuto, con note difensive ritualmente prodotte, che la l. regionale Lombardia del 5.12.2004 n. 31 ha confermato la procedibilità delle domande di condono presentate.
Sul punto, osserva il Collegio, in conformità ai principi affermati dalla Corte Costituzionale con le sentenze nn. 196, 198 e 199 del 2004, che le disposizioni della legge regionale devono essere interpretate alla luce dei principi fondamentali stabiliti dalla normativa statale (v. anche Cass. Sez. III, 11.3.2003, Leccese) e che, in ogni caso, ove il ricorrente ottenesse la concessione in sanatoria, in sede esecutiva potrà essere esaminata la possibilità di ottenere la revoca dell’ordine di demolizione.
La inammissibilità del ricorso non consente la sospensione del procedimento atteso che la sospensione deve essere disposta con riferimento ai procedimenti in corso, mentre in ipotesi di inammissibilità originaria del ricorso, non essendosi formato un valido rapporto di impugnazione, non vi è alcun procedimento in corso (v., in termini, Cass. Sez. III, 2.3.2004, Mancuso e altro).
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 500,00 (cinquecento) in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 12 gennaio 2005