| sommario | legislazione | giurisprudenza | tabelle |modulistica || pubblicazioni | recensioni | links | utilities | |iusambiente è |

 

Consiglio di Stato 1678/2003

                                                                           

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il  Consiglio  di  Stato  in  sede  giurisdizionale, (Quinta Sezione)         

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 696/98, proposto da Lanfranco MONTINI,  in proprio e quale amministratore unico della FIMO s.p.a.,  rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe Porqueddu e Giorgio Cugurra, ed elettivamente domiciliato in Roma, v. F. Paulucci de’ Calboli   n. 5  (studio Tarsitani),

contro

il Comune di Calcinato,  in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Giacomo Bonomi ed Enrico Romanelli, ed elettivamente domiciliato presso il secondo in Roma, v.le Giulio Cesare n. 14,

e nei confronti

della Regione Lombardia, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, e presso gli Uffici di questa  domiciliata in Roma, v. dei Portoghesi  n. 12;

di Dionisio GERARDINI, non costituito in giudizio;

della  SAGETER s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio;

della  ECOTRANS s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio;

della  Azienda USSL n. 18 di Brescia, in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio,

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sez. Brescia, 13 agosto 1997, n. 869, resa inter partes, con la quale il Tribunale si è pronunciato su sei ricorsi riuniti  proposti dall’odierno  appellante, in tema di sgombero e bonifica di capannone contenente  rifiuti speciali  tossici e nocivi.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune intimato e della Regione Lombardia;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 21 gennaio 2003 il Consigliere Gerardo Mastrandrea; uditi i difensori delle parti come da verbale di udienza;          

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

1. La società Fimo, di cui il Montini - odierno appellante - è amministratore unico, è proprietaria di un capannone industriale di circa 2000 mq. di superficie.

Nella primavera del 1989 la predetta società maturava l’intenzione di dare in affitto il capannone in questione (all’epoca completamente vuoto).

Contattata un’agenzia immobiliare, e grazie ai servigi di questa  individuato un potenziale contraente interessato, il 21 maggio 1989 la Fimo stipulava un contratto di locazione con il sig. Gerardini, il quale dichiarava di voler utilizzare il capannone come deposito di prefabbricati per l’edilizia.

La società dava regolare comunicazione al Comune di Calcinato, ma non all’Autorità di pubblica sicurezza, dell’avvenuta cessione in locazione del fabbricato.

Fatto sta che, nel periodo di tempo (individuato dal ricorrente) che andava, all’incirca, da fine maggio a fine giugno 1989, il capannone veniva abusivamente utilizzato dal locatario come deposito di rifiuti speciali, tossici e nocivi, provenienti da lavorazioni industriali, venendo così riempito, in tale frangente di tempo, da ben 6000 mc. di siffatto materiale.

Di questa attività la Fimo, che opera a diversi chilometri di distanza, afferma di essere stata completamente all’oscuro.

A seguito di sopralluogo effettuato nel capannone dai vigili sanitari, la USSL di Montichiari, con nota del 30 giugno 1989, informava del fatto le Autorità competenti.

2. Successivamente alla segnalazione dell’Amministrazione sanitaria territoriale, il Sindaco di Calcinato adottava due primi provvedimenti di urgenza, ovvero le ordinanze 14 luglio 1989 n. 46 e 19 luglio 1989 n. 47.

Con la prima veniva intimato al sig. Montini ed al sig. Gerardini, congiuntamente ed in forma solidale, di provvedere allo sgombero  e alla pulizia del capannone dai rifiuti tossici nocivi e speciali anzidetti, mediante trasporto degli stessi ad idoneo sito di stoccaggio temporaneo regolarmente autorizzato, in attesa dello smaltimento definitivo.

Con la seconda, invece, veniva ordinato ai predetti, sempre “in forma congiunta e solidale”, di provvedere ad alcune operazioni per la  messa in sicurezza dei locali (riducendo la spinta esercitata dal materiale, interessato anche da un focolaio di incendio, sulle pareti, già lesionate, del capannone).

   Avverso le sopraindicate ordinanze il Montini proponeva un primo ricorso dinanzi al TAR Lombardia (rubricato col n. 819/89), contestando tra l’altro la propria individuazione come soggetto obbligato allo sgombero dei rifiuti, non avendo egli minimamente partecipato alla commissione dell’illecito.

3. Con ordinanza 9 ottobre 1989, n. 57, impugnata con il ricorso n. 1395/89, il Sindaco di Calcinato rinnovava l’ordine di sgombero e di messa in sicurezza del capannone, individuando questa volta come soggetto obbligato in via solidale con il conduttore, sig. Gerardini, direttamente la società Fimo. 

Avverso la suddetta ordinanza contingibile e urgente la Fimo, che si era attivata anche in via giudiziaria contro il Gerardini (iniziative sfociate, tra l’altro, nella risoluzione giudiziale del contratto di locazione),  deduceva con fermezza che, stando alla disciplina del DPR 915/82, allo smaltimento dei rifiuti erano tenuti i produttori  dei rifiuti stessi, senza alcun “aprioristico coinvolgimento” del proprietario dell’immobile ove i predetti rifiuti fossero stati abbandonati.

  4. Con gli altri quattro ricorsi proposti in prime cure, inoltre, l’appellante contestava, seppur in via tuzioristica, tutti gli atti della procedura di esecuzione di ufficio che ne era seguita, a partire (ricorso n. 57/90) dal provvedimento deliberativo di Giunta municipale n.  455/89 del 16 ottobre 1989, con la quale, preso atto che le precedenti ordinanze erano rimaste ineseguite, e riconosciuta l’eccezionale urgenza di provvedere allo sgombero e alla pulizia del capannone, l’Amministrazione confermava il progetto per il rinforzo d’emergenza delle pareti prefabbricate dell’infrastruttura, approvato dalla Giunta con delibera del 13 settembre 1989, dando atto che lo stesso rivestiva carattere di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1 della legge n. 1/78, e decideva di appaltare i predetti lavori di rinforzo a trattativa privata, con spese a carico della società Fimo.

5. Con il ricorso n. 1389/93 venivano impugnati gli atti di approvazione del progetto di bonifica predisposto dalla ditta Sageter s.p.a., mentre con il ricorso  n. 226/94 venivano, altresì, impugnati gli atti di approvazione del progetto esecutivo redatto dalla menzionata impresa Sageter.

6. Con il ricorso n. 591/96, infine, il Montini impugnava dinanzi al TAR Lombardia gli atti con cui i lavori di bonifica in argomento erano stati definitivamente appaltati alla società Ecotrans s.r.l.

7. Con la sentenza impugnata, in epigrafe indicata, il TAR bresciano ha respinto i primi tre ricorsi (nn. 819/89, 1395/89 e 57/90); ha dichiarato il ricorso n. 1389/93 in parte irricevibile, in parte inammissibile ed in parte ancora improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse; ha dichiarato il ricorso n. 226/94 in parte irricevibile e in parte inammissibile; ha dichiarato, infine, il ricorso n. 591/96 irricevibile.

8. Il sig. Montini, come si diceva anche quale amministratore unico della Fimo s.p.a., ha interposto l’appello in trattazione avverso la prefata pronunzia, concentrando il tiro delle proprie censure prettamente contro le ordinanze sindacali contingibili ed urgenti di sgombero e bonifica del capannone, contestando quindi la sentenza appellata soprattutto nella parte in cui ha respinto i primi due ricorsi, ed affermandone comunque l’erroneità attesa l’illegittimità in via derivata dei successivi atti relativi alla procedura esecutiva d’ufficio. 

9. L’Amministrazione comunale intimata si è costituita in giudizio per resistere all’appello, e dopo aver puntualmente controdedotto ha concluso per la conferma, in ogni sua statuizione, della sentenza gravata.

Anche la Regione Lombardia si è costituita in giudizio al fine di resistere, per quanto di proprio interesse, alla avversa impugnativa, chiedendo l’integrale conferma della sentenza di prime cure, siccome formalmente e sostanzialmente ineccepibile.

Alla pubblica udienza del 21 gennaio 2003 il ricorso in appello è stato introitato per la decisione.

DIRITTO

1. L’appello non merita positiva considerazione.

La questione sottoposta all’attenzione di questo Collegio di appello, descritta in narrativa e  apparentemente molto complessa, in disparte la molteplicità delle azioni esercitate in primo grado, è stata correttamente delimitata dallo stesso appellante nei termini dello stabilire, essenzialmente, se siano legittimi gli atti (cfr. in particolare le ordinanze sindacali n. 46 del 14 luglio 1989 e n. 47 del 19 luglio 1989)  con cui il Comune di Calcinato ha intimato anche  al proprietario (appellante), in solido e quindi congiuntamente al locatario detentore, di provvedere con urgenza allo sgombero, alla pulizia ed alla messa in sicurezza di un capannone riempito di rifiuti tossici e nocivi, con il rischio di dover subire altresì il peso economico dell’esecuzione d’ufficio portata a termine in danno dei soggetti inadempienti.

Il reclamante sig. Montini, dichiaratosi con vigore completamente estraneo ed all’oscuro dell’attività illecita perpetrata dal locatario nel brevissimo tempo successivo alla stipula del contratto di locazione, ha richiamato la normativa generale (allora) vigente, ovvero il DPR 915/82, che addossava ogni onere relativo allo smaltimento dei rifiuti speciali, anche tossici e nocivi, ai produttori dei rifiuti stessi, in quanto unici responsabili dell’eventuale illecito.  

In definitiva, ad avviso del Montini, che ha invocato diverse pronunzie giurisprudenziali a conforto dei suoi assunti, un ordine  sindacale di smaltimento dei rifiuti non può essere rivolto al proprietario dell’area (o della struttura) nella quale i rifiuti siano stati depositati, ove quest’ultimo, con il proprio comportamento, in alcun modo abbia contribuito alla causazione dell’illecito de quo, dovendo egli restare esente da ogni responsabilità di sorta.

2. La sentenza appellata, preso atto che nello stesso Tribunale amministrativo era in via di consolidamento un orientamento non difforme da quello  sopra sintetizzato, e fatto proprio dall’appellante, secondo cui, dunque, l’ordinanza contingibile ed urgente  di sgombero  di un’area dai rifiuti abusivamente depositati non può essere rivolta al proprietario dell’area su cui siano stati accumulati i rifiuti stessi, ogni qual volta risulti, in modo inequivocabile, la sua completa estraneità all’attività di deposito abusivo, o qualora risulti che, essendo egli venuto a conoscenza di detto accumulo, si sia adoperato per impedirlo con gli strumenti  offertigli dall’ordinamento, ha concluso che, nondimeno, talune circostanze anche di ordine fattuale deponevano in senso contrario all’asserita totale estraneità del Montini all’opera di accumulazione abusiva dei rifiuti nel capannone di proprietà (ad esempio: data di registrazione del contratto di locazione successiva al sopralluogo effettuato dai vigili sanitari; mancata comunicazione dell’intervenuta locazione all’Autorità locale di pubblica sicurezza; limitatissimo spazio temporale in cui il locatario avrebbe abusivamente trasportato nel capannone, con centinaia di viaggi, ben 6.000 mc.di materiale), e quindi a favore della configurazione in capo al medesimo di una responsabilità quanto meno omissiva in relazione all’accaduto.

3. Senza ombra di dubbio, elementi come quello della data di registrazione del contratto di locazione e, non da ultimo, l’incontestata  violazione, da parte del locatore, dell’obbligo di  comunicazione all’Autorità di pubblica sicurezza del passaggio di disponibilità del bene, adempimento prescritto dalla legge all’evidente fine di agevolare un adeguato controllo del territorio nell’interesse della pubblica collettività, portano, quanto meno, ad approcciare con una certa cautela i fermi proclami di assoluta estraneità formulati dal Montini.

4. Ma ad assumere portata dirimente e decisiva, anche ai  fini della pronunzia di infondatezza delle doglianze dedotte in argomento dall’appellante, è senza dubbio la doverosa riaffermazione, nella materia de qua,  di  alcuni principi già enucleati da questa Sezione in tema di esercizio del potere di ordinanza contingibile e urgente attribuito al Sindaco, che, come è noto, presuppone la necessità di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale e imprevedibile, cui non si potrebbe far fronte col ricorso agli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento, senza che, soprattutto in materia di sanità pubblica e protezione dell’ambiente, possa darsi soverchio rilievo alla durata della situazione di pericolo (atteso che questa, quale ragionevole probabilità che l’evento dannoso accada, potrebbe protrarsi anche per un lungo periodo senza cagionare il fatto temuto: Cons. Stato, V, 4 febbraio 1998, n. 125), e con l’avvertenza che siffatta tipologia di provvedimento urgente, quando miri a preservare la salute pubblica, può essere adottata non solo per porre rimedi a danni già verificatisi alla salute,  ma anche e soprattutto, alla stregua dell’art. 32 Cost., per evitare che tali danni si verifichino (Cons. Stato, V, 19 febbraio 1996, n. 220).

Più nello specifico, la Sezione ha avvedutamente messo in luce come l’esistenza di norme (cfr., in particolare, il sopravvenuto art. 14 del d.lg. 22/97, secondo cui l’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sono vietati e chiunque viola tale divieto è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio al recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi “in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali [però] tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa”) informate al principio secondo cui, in linea di massima, l’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi grava soltanto sull’autore della violazione, mediante commissione od omissione, volontaria o colposa, escludendosi qualsiasi forma di responsabilità oggettiva del proprietario, non impedisce che il sindaco possa imporre specifici comportamenti a carico del proprietario incolpevole.

 E’ ovvio, però, che in tale eventualità è necessario appurare il carattere urgente ed indifferibile dell’intervento (che nel caso di specie è fuori discussione: basti solo considerare lo stato precario delle pareti del capannone), con specifico riguardo alla incidenza sull’igiene e sulla salute pubblica.

In questa prospettiva, si è chiarito che l’ordinanza con la quale il sindaco, ai sensi dell’art. 9 d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, impone al proprietario dell’area di predisporre un piano di smaltimento dei rifiuti speciali tossici e nocivi su essa giacenti, non ha carattere sanzionatorio, nel senso che non è diretta ad individuare e punire i soggetti ai quali è da attribuire la responsabilità civile e/o penale della situazione abusiva, ma solo ripristinatoria, in quanto volta ad ottenere la rimozione dell’attuale stato di pericolo e a prevenire ulteriori danni all’ambiente circostante e alla salute pubblica; pertanto, detta ordinanza può essere legittimamente indirizzata all’attuale proprietario  dell’area, cioè a colui che si trova con quest’ultima in un rapporto tale da consentirgli di eseguire gli interventi ritenuti necessari al fine di eliminare la riscontrata situazione di pericolo, ancorché essa sia da imputarsi al precedente proprietario (Cons. Stato, V, 2 aprile 2001, n. 1904, che all’uopo richiama anche TAR Emilia-Romagna, sez. Parma, 22 maggio 1995, n. 241).

Correttamente, dunque, il TAR bresciano, nel dirimere la vertenza concreta, ha ritenuto di potersi anche agganciare all’orientamento giurisprudenziale, pur non recentissimo, di questa Sezione, in base al quale in sede di emanazione delle ordinanze sindacali contingibili ed urgenti previste dall’art. 153 T.U. 4 febbraio 1915 n. 148, l’individuazione dell’obbligato ad eseguire i lavori occorrenti per l’eliminazione della minaccia all’interesse pubblico può essere legittimamente effettuata in base allo stato di fatto, in quanto la ricerca dell’obbligato di diritto, mediante accertamenti complessi e laboriosi, potrebbe essere incompatibile con l’intrinseca natura dei provvedimenti contingibili ed urgenti (cfr. Cons. Stato, V, 7 settembre 1991, n. 1137, che riprende V, 16 luglio 1960, n. 520; v. anche Cons. Stato, I, parere 7 aprile 1993, n. 2032/90). 

5. Appare, in definitiva, ragionevole che, impregiudicata ogni rivalsa nei confronti dell’effettivo responsabile, il soggetto destinatario del provvedimento contingibile ed urgente emesso in materia di smaltimento di rifiuti tossici e nocivi  sia individuato (anche) in chi con il bene si trovi in rapporto tale da consentirgli di eseguire con celerità gli interventi ordinati, ritenuti necessari per fronteggiare la situazione di pericolo, alla stregua, occorre ribadire, della natura ripristinatoria d’urgenza e non sanzionatoria del provvedimento contingibile.

Il Sindaco di Calcinato, dovendo provvedere nell’immediatezza in base alla segnalazione pervenuta, legittimamente ha adottato le impugnate ordinanze d’urgenza, rivolgendosi non solo nei confronti di chi appariva il locatario detentore del capannone, ma anche nei confronti della proprietà di esso, salvo dover verificare in un successivo momento i soggetti a cui effettivamente accollare le spese sostenute per il perseguimento, d’ufficio, della tutela degli interessi della collettività interessata.

6. Il primo mezzo censorio di appello deve essere pertanto disatteso, così come del resto, e per gli stessi motivi, il secondo, che è sostanzialmente ripetitivo, dovendosi rimarcare che non era necessario, per le ragioni suddette, spendere una parte del corredo motivazionale dei provvedimenti contestati in merito ad un del tutto eventuale (ed al momento ininfluente) concorso nella commissione dell’illecito da parte del proprietario appellante.

7. Quanto, infine, alle lagnanze proposte in ordine alla reiezione dei (quattro) ricorsi relativi all’esecuzione d’ufficio (intervenuta, in verità, dopo non poco tempo) delle misure urgenti di tutela affidate a società specializzate, per stessa ammissione dell’appellante proposti per mero tuziorismo, escluso – come è ovvio - l’invocato effetto caducatorio rispetto alle ordinanze di necessità ed urgenza, delle quali è stata appurata la legittimità, non è stata prospettata in questo grado di giudizio, anche tramite riproposizione, alcuna autonoma censura, fatta salva la contestazione, “solo per completezza difensiva”, della pronunzia di tardività dell’ultimo ricorso ( n. 591/96, per mezzo del quale il Montini ha impugnato la delibera  con cui il Comune resistente ha dato corso all’appalto dei lavori  per la bonifica del capannone mediante procedura ristretta, nonché la delibera di Giunta comunale con cui i lavori di bonifica e risanamento in questione sono stati affidati in appalto alla Ecotrans s.r.l.); contestazione peraltro non accompagnata da  un minimo cenno di richiamo delle originarie lagnanze, e che anche in questo caso quindi potrebbe giudicarsi del tutto irrilevante (non potendo giovare al reclamante una mera pronunzia di ricevibilità del detto atto introduttivo).

Ad ogni modo,  la censura appare anche priva della necessaria consistenza giuridica, atteso che la Fimo s.p.a. (come anche il Montini) non era al tempo, in effetti, direttamente interessata dalle statuizioni afferenti le modalità procedurali scelte per l’affidamento dell’appalto, relativamente alle quali la sua posizione non era differenziata da quella di un qualsiasi soggetto “terzo”, con la conseguenza che il termine decadenziale per l’impugnativa decorreva nei suoi confronti dalla pubblicazione  degli atti in questione.

8. Alla stregua delle riportate considerazioni, l’appello, in definitiva, va rigettato, con compensazione delle spese del presente grado  tra le parti costituite, sussistendone i giusti motivi.  

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, lo rigetta.

Spese del presente grado di giudizio compensate tra le parti costituite.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

            Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2003, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), in camera di consiglio.